1 Febbraio 2008

In Italia Spesa per cibo: +28% in 10 anni Tre

In Italia Spesa per cibo: +28% in 10 anni Tre
Tre famiglie su 5 cambiano abitudini alimentari per risparmiare

La dieta mediterranea è diventata un lusso. Negli ultimi dieci anni il costo della spesa alimentare è cresciuto del 28 per cento e tre famiglie italiane su cinque cambiano le proprie abitudini scegliendo di risparmiare su pane, pasta, frutta, verdure e vino. E se dolci di carnevale come le frappe sono arrivate a costare ben 50 euro al chilo, la Coldiretti consiglia di farle in casa, suggerisce la ricetta e calcola al centesimo, ingrediente per ingrediente, come il loro prezzo non superi i 5 euro al chilogrammo. A denunciare l`allarmante crollo dei consumi che si sta verificando nel nostro Paese da circa un anno, è un`indagine elaborata dalla Confederazione italiana agricoltori secondo cui a risentire del “caro-spesa“ sono soprattutto le persone di età compresa tra i 55 ed i 70 anni e quelle con redditi bassi, mentre i nuclei familiari dove entrano 1.400-2.000 euro al mese preferiscono puntare sulla genuinità dei cibi. Se ogni famiglia destina circa 460 euro mensili per la spesa alimentare, per un totale di 135 miliardi di euro, il 2007 ha evidenziato un`inflessione del 2 per cento degli acquisti rispetto al 2006. Perché dei rincari “selvaggi“, come li ha definiti il presidente della Cia, Giuseppe Politi, che hanno convinto gli italiani a spendere meno per il cibo, fanno parte proprio gli alimenti tipici della dieta mediterranea. L`aumento del prezzo del pane registra un +12,3%, quello della pasta +8,4%, e a seguire latte +7,6%, frutta +5,6%, verdure +6,8%. Di conseguenza sulle tavole delle famiglie compaiono quantità inferiori di pane (acquisti in calo del 7,5%), pasta (-4,6%), frutta (-2,8%), verdure (-3,5%), vino (-8,4%) e latte (-2,3%). A fronte di una diminuzione dei consumi di questi prodotti, nella lista della spesa salgono altri alimenti. Al primo posto infatti, ci sono carne (pollo e bovino), salumi e uova che costituiscono il 23,4% della spesa. Mentre il resto degli acquisti è ripartito tra latte e derivati, soprattutto yogurt (18,2%), ortofrutta (16,8%), derivati dei cereali (14,8%), prodotti ittici (8,9%), bevande analcoliche (5,7%), bevande alcoliche (5,5%), olio (il cui consumo registra un +1,5%) e grassi (3,9%), zucchero, sale, caffè, tè (2,8%). L`analisi della Cia rivela anche che ad incidere sul prezzo finale di un prodotto non è l`agricoltura ma tutti gli altri passaggi della filiera. “Dal campo alla tavola possono verificarsi aumenti anche di venti volte – sostiene il presidente della confederazione – Siamo in presenza di una filiera troppo lunga e complessa che genera distorsioni e, spesso, rincari ingiustificati e artificiosi che penalizzano agricoltori e consumatori“. Ma alla richiesta della Cia di controlli rigorosi da parte dell`autorità competente, il presidente della Confcommercio di Vicenza, Sergio Rebecca, ribatte che “si vuole dare tutta la colpa dei rincari ai commercianti, che alla fine sono invece tra coloro che risentono di più degli effetti negativi del calo dei consumi in atto“. Preoccupato invece, il Codacons per i rincari “inaccettabili, contro i quali è necessario intervenire tagliando i prezzi dei generi di prima necessità per consentire una ripresa dei consumi“.

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