9 Febbraio 2010

Una valanga non avvisa.

ROMA – Una valanga non avvisa. Cade giù travolgendo qualsiasi cosa incontri sul suo percorso. Impossibile sfuggirvi: quando colpisce in pieno rare volte non uccide. Ma questa furia incontrollabile nella quasi totalità delle volte non si scatena spontaneamente, ma viene provocata da qualcuno. Non si può quindi incolpare la montagna o la Natura se ogni anno muoino sotto la neve in media 20 persone. E’ così ormai da 30 anni, cioè da quando si iniziano a contare incidenti e vittime. Le ultime stagioni non hanno di certo fatto eccezione, tranne che in quella del 2007-2008, dove il numero dei morti è sceso a quota 17. Un calo subito smentito nella stagione successiva dove si sono registrati per colpa delle valanghe ben 21 morti, 44 feriti, 142 travolti per un totale di 274 persone coinvolte. E quest’ anno probabilmente ci aspettano numeri da record, considerando che siamo ancora a febbraio e già la conta delle vittime è piuttosto elevata. «Le statistiche sulla mortalità – spiega Anselmo Cagnati, dirigente dell’ unità operativa neve e valanghe del Centro Valanghe di Arabba – sono stabili. Negli ultimi anni però gli incidenti sono aumentati probabilmente per via dei sempre più appassionati che vanno in montagna a fare snowboard o a sciare fuori pista». Sono infatti proprio loro i principali responsabili delle valanghe. Nella stagione 2007/2008, ad esempio, su 36 valanghe, 15 sono state provocate da sciatori fuori pista e 8 da scialpinisti in salita. «La gente ora – dice Giovani Peretti, responsabile di Niveometeo del Centro Nivo-Meteorologico dell’ Arpa Lombardia – appena vede la neve si precipita in montagna senza aspettare l’ assestamento del manto nevoso». La montagna, infatti, non si affronta così a cuor leggero, anche se si tratta di un solo weekend. «Purtroppo ancora molti – aggiunge Peretti – vanno in montagna senza consultare i Bollettini Nivo-Meteorologici che calcolano il rischio valanghe». Molti degli incidenti avvenuti negli ultimi giorni, infatti, possono essere definiti tragedie quasi annunciate. «In Italia manca la cultura della montagna», dice Valerio Zani, vicepresidente del Corpo Nazionale soccorso Alpino. In genere, le vittime delle valanghe sono le stesse persone che le provocano. Eppure, c’ è una percentuale non irrilevante di vittime che vengono travolte dalla massa di neve e che non hanno alcuna responsabilità. Quando infatti cade una valanga, secondo i dati dell’ Aineva (l’ Associazione che raggruppa i Servizi Valanghe delle sette regioni dell’ Arco alpino), il 50% delle volte tutti i presenti sul luogo vengono travolti. Fra questi il 37% rimane in superficie, il 28% si trova semisepolto e il 35% completamente sepolto. Proprio per evitare che qualcuno si faccia male per colpa del comportamento irresponsabile di alcuni in montagna, il Dipartimento della Protezione Civile ha proposto un emendamento che punisce con il carcere chi, provocando una valanga, si rende responsabile della morte di altri e un’ ammenda di 5 mila euro per chi scia fuori pista. Un provvedimento che se da un lato è stato accolto e inserito nel decreto legge sulle emergenze, dall’ altro ha sollevato non poche polemiche. «La minaccia di multe e carcere per chi provoca una valanga è una reazione isterica», commenta l’ alpinista Reinhold Messner. «Con iniziative legislative di questo genere – aggiunge – si uccide l’ alpinismo». Il Codacons rincara la dose definendolo «un provvedimento ridicolo». Accoglie con favore l’ emendamento il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla. «Tanti, troppi incidenti si sono verificati. C’ è bisogno – dice – di un ulteriore intervento attraverso l’ educazione della popolazione, canali di informazione martellanti, regolamentazione più rigida, sanzioni pesanti; compreso il carcere, nei casi più gravi»

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