3 Maggio 2013

«Un avamposto assediato così si uccide la giustizia»

«Un avamposto assediato così si uccide la giustizia»
 

Gigi Di Fiore Inviato Sala Consilina. Il titolare del Bar Coppola, dai gazebo all’ aperto confinanti con il cancello del tribunale, alza le braccia. E ammette: «Sì, per noi la chiusura di questi uffici sarebbe una disgrazia. Specie in alcune giornate, lavoriamo tantissimo con giudici e avvocati». Eccolo il tribunale che non ci sarà più. Un cancello malmesso, due piani con gli esterni di colore grigio e bordeaux bisognosi di un’ aggiustatina, un parcheggio interno. Poco più avanti, in questa strada intitolata al gran figlio e vanto di Sala Consilina, Alfredo De Marsico che qui nacque nel 1888, domina un mostro di cemento abusivo bloccato cinque anni fa e l’ altro bar, il Gran Caffè, che piange l’ annunciata chiusura. Sala Consilina, tribunale che vollero i Borbone nel 1859 e fu confermato anche dopo l’ unità d’ Italia. Un avamposto di legalità nel Vallo di Diano, ultimo ufficio giudiziario campano a sud della regione: competenza territoriale su 19 comuni per una popolazione di oltre 69mila persone, da aggiungere alla sede distaccata di Sapri con altri 9 comuni e altre 20mila persone. Con un frego su un foglio, il piano ministeriale ha previsto la cancellazione di Sala Consilina per il prossimo 13 settembre, con uffici assorbiti dal tribunale di Lagonegro. Vero, sono solo poco più di 30 chilometri di distanza, ma Lagonegro significa altra regione, la Basilicata, altra corte d’ appello, quella di Potenza. E, da oltre un anno, qui è in atto una rivoluzione pacifica. Nessuno ci sta a perdere il tribunale. Tutti insieme, sindaci, avvocati, giudici, protestano. Antonio Robustella è, ancora per poco, il presidente del tribunale. Poiché la legge gli imponeva un termine per chiedere di andar via, o restare tra i giudici di Lagonegro, ha già ottenuto dal Csm il trasferimento a Napoli. Sarà presidente di sezione d’ appello nel settore lavoro. Fa un quadro nero sui mesi a venire: «Gli ispettori riconobbero a questo tribunale di funzionare al meglio nel penale. La gestione economica fu certificata eccellente. Purtroppo, con il blocco del turn over dei magistrati, da tempo questo territorio è sottoposto per legge a una denegata giustizia. Facciamo tutti del nostro meglio». Si respira aria da avamposto assediato. Da smobilitazione. Tredici giudici, con 29 dipendenti e tre magistrati della Procura, dovrebbero spostarsi a Lagonegro, ma mancano gli spazi. In più, nonostante l’ annunciato risparmio, giustamente il comune di Lagonegro ha chiesto alla Regione Basilicata un finanziamento di 500mila euro per adeguare le strutture del tribunale. Quelle attuali non bastano ad assorbire l’ ampliamento di competenze e personale. Il procuratore capo, Amato Barile, ha presentato diverse domande di trasferimento (da Pistoia a Parma, tanto per citarne qualcuna), ma non ha avuto ancora risposta dal Csm. Parla senza peli sulla lingua: «È una vera e propria deportazione di cittadini. Questo territorio sarà privo di presidi di legalità giudiziaria. Molti reati vengono compiuti qui da delinquenti napoletani in trasferta. Gli ultimi sei li abbiamo arrestati pochi giorni fa. A sud della provincia salernitana sarà terra di nessuno». Il sindaco Gaetano Ferrari, medico originario di Rivello, è tra i più arrabbiati. Due delibere di giunta approvate negli ultimi mesi, la diserzione per protesta di una riunione, convocata il tre aprile dal sindaco e dal presidente del tribunale di Lagonegro, per discutere sul trasferimento: l’ atteggiamento polemico del primo cittadino non è mai stato nascosto. E lui, Ferrari, lo spiega così: «Su questa vicenda è scomparso l’ impegno politico. Noi dobbiamo sostenere economicamente l’ ufficio dei giudici di pace, in una situazione di devastazione come questa. Siamo mortificati. Non si capisce che per Sala Consilina il tribunale è come la Fiat per Torino. Siamo penalizzati perché più deboli nel far sentire la nostra voce. C’ è silenzio dalla Regione Campania e anche una certa sufficienza dimostrata dalla corte d’ appello di Salerno». Il sindaco le ha provate tutte. C’ è stata anche una levata di scudi generale, che ha coinvolto tutti i 28 sindaci interessati alla soppressione. Tutti insieme in fascia tricolore, dal Vallo di Diano al golfo di Policastro, dal prefetto Gerarda Maria Pantalone a Salerno per protestare sulla chiusura del tribunale. E si mobilitano in tanti. Qualche mese fa, si fece sentire anche Michele Albanese, direttore generale della Banca di credito cooperativo Monte Pruno di Roscigno e Laurino. Affidò ad un comunicato il suo pensiero: «Il tribunale appartiene al nostro territorio. Verrebbe a mancare un punto di riferimento, con danni economici e sociali rilevanti». Anche la locale sezione del Codacons ha voluto far sentire la sua voce contraria, parlando di «impoverimento di un intero territorio». In controtendenza, invece, gli imprenditori. Il presidente dell’ Unione industriali di Salerno, Mauro Maccauro, difende la «semplificazione delle circoscrizioni giudiziarie». Ma avverte: «Le aziende lavorano inserite in un sistema globale, che le porta anche all’ estero. Per noi, i contenziosi significano costi aggiuntivi. E i ritardi di un sistema giudiziario antiquato ci penalizza». Certo, chi vive o lavora nel Vallo di Diano o nel golfo di Policastro dovrà abituarsi a sentirsi figlio di almeno tre regioni. Dal punto di vista geografico e politico, siamo in Campania. Per la giustizia ordinaria, invece, dal 13 settembre, ci si dovrà spostare a Lagonegro in Basilicata. In caso, invece, di contenziosi economici, il competente tribunale per le imprese sarà a Bari in Puglia. Un guazzabuglio. E alla fine chi meglio sintetizza la situazione è il vescovo Antonio De Luca, che guida la diocesi di Teggiano-Policastro: «Togliamo alla gente certezze di vita. Certo, se passa la filosofia e l’ idea della smobilitazione di punti di riferimento, scuole, uffici postali e persino tribunale, avanzerà la disaffezione verso l’ impegno sociale. È il senso della comunità che così viene ucciso». (1 – continua) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

 

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