14 Settembre 2016

Tiziana suicida per un video hard, in Rete cordoglio e ancora troppe ironie. E l’oblio è lontano

Tiziana suicida per un video hard, in Rete cordoglio e ancora troppe ironie. E l’oblio è lontano

Aperta
una pagina “Rip Tiziana”,  ma è tutto finto. Il precedente di
un’adolescente del centro Italia, che ha ottenuto il “diritto
all’oblio”. Il caso di L, “camgirl”, siciliana

di PAOLO DE LUCA Tiziana suicida per un video hard, in Rete cordoglio e ancora troppe ironie. E l’oblio è lontano
La rete non riposa e non dà tregua. All’indomani della notizia del suicidio di Tiziana, dopo la diffusione di alcuni video hard e un processo per chiedere il diritto all’oblio, la donna continua a essere irrisa sui social.

Su Facebook c’è una pagina che, stranamente (vista la nota rapidità degli admin), non è stata ancora bloccata. Si chiama “Rip Tiziana” ed è un chiaro esempio di “flame” non nuovo sui social network. Si tratta di un pagine create ad hoc per scatenare l’ira dei “luogocomunisti” e attirare l’ironia dei flamer. Tutto è finto, persino il “Rip”, fatto apposta per indurre reazioni. Un caso simile accadde addirittura per Yara Gambirasio, la tredicenne uccisa nel 2010 nel bergamasco. Qualcuno ci casca e posta sincere condoglianze, altri alimentano la macchina del flame, postando immagini, commenti ironici o volgari. Si fa di tutto per circolare nel web, o per attirare ancora ironia sulla morte di una donna, tradita da uomini e computer. Qui, in particolare, si scherza nei commenti con quell’“h” finale alla fine di ogni sua parola registrata, come un accenno alla cadenza napoletana di Tiziana, che si poteva ascoltare in uno dei suoi video incriminati. Lo scorso anno, il suo “bravoh” era un inutile tormentone.

La pagina in questione è stata più volte segnalata. Nelle ultime 24 ore ne hanno aperte quasi venti, tutte chiuse. Questa “resiste” ancora. Internet ha ancora una volta fatto da diabolico volano alla perversione di persone simili a quelle che, tempo fa, si divertivano allo stesso modo, diffondendo (con meno velocità, certo, ma con uguale efficacia), videocassette, foto o dischetti infanganti.

C’è un precedente, ed è il video virale di C., datato inizio Duemila. Ritrae una minorenne del centro Italia, ingannata dal suo fidanzato, il quale diffuse prima via cd rom, poi via software peer-to-peer il video di un loro rapporto sessuale. Anche C. tentò il suicidio. Anche in quel caso ci fu una causa.

Ora C. ha ottenuto il “diritto all’oblio”. Allora non esisteva Facebook, né Twitter, ma la notizia circolò ugualmente, sia su carta che su monitor.

Tiziana ha scontato la stessa pena, ma più di quindici anni dopo, pari ad un’era geologica nell’evoluzione dei software. Siamo in un’epoca dove in meno di una settimana nascono più di diecimila pagine su uno stesso argomento. Impossibile controllarle tutte, rapidamente. Nel caso della donna campana si tratta di fotomontaggi e sfottò, soprattutto sulla sua affermazione più conosciuta (“Stai facendo un video? Bravo!”), condivisa da centinaia di migliaia di persone. Il video, che circolava inizialmente su WhatsApp è stato sotto gli occhi di tutti per mesi. C’è chi l’ha ignorato, chi invece ci ha creato uno e più status, chi addirittura una canzone con tanto di slideshot fotografico (immediatamente rimossa).

Qualcuno chiede di riaprire un discorso, ormai obsoleto, sulla privacy nel 2016. Al di là degli utenti che gridano in un post pubblico (e acchiappalike) “Se Tiziana è morta i colpevoli siamo tutti noi”, ci sarà un nome e cognome, un perseguibile numero 0 che avrà tradito Tiziana e alimentato la giravolta di spam. Anche su questo si muovono i suoi avvocati. Combattono per il “diritto all’oblio” della donna, citando in giudizio non solo i diffusori dei video, ma anche Facebook, Yahoo Italia, Google e YouTube per averli veicolati.

Una battaglia vinta in prima istanza. Ma per Tiziana, che nel frattempo aveva cambiato identità, non è stato sufficiente. C’è una sentenza della Corte europea, che obbliga i motori di ricerca a rimuovere dal web i contenuti indesiderati (in Italia la sua applicazione non supera il 35 per cento). Ma ogni internauta sa bene che una parte di questi non sparirà mai: è praticamente impossibile. Ci sarà sempre una sacca sconosciuta e introvabile di dati invisibili, caricati su un server in un punto sperduto del mondo.

È il caso di L, “camgirl” siciliana, una delle tante ragazze che si spogliano in video, in cambio di un “regalino” (una ricarica al cellulare o un versamento di soldi). Secondo il Codacons, in Italia sono più di 18 mila, quasi tutte tra i 25 e 35 anni. L., dopo aver trovato alcune foto su un sito porno, strappate illecitamente da una sua performance, ne ha chiesto e ottenuto la cancellazione. Ma, anni dopo, alcuni suoi scatti circolano ancora. Il diritto all’oblio è un fattore relativo nel web. Soprattutto nell’epoca di Snapchat, il servizio di messaggistica per smartphone, che consente di inviare messaggi, foto e video visualizzabili solo per un certo numero di secondi. Affidandosi alla loro durata predeterminata, diversi utenti (in Italia sono più di 800 mila, di cui la metà sotto i 25 anni) inviano immagini opinabili. Ma ci sono diversi mezzi per immortalare ugualmente uno scatto prima che si autodistrugga.

 E
mentre il giorno dopo la notizia della morte di Tiziana comunità online italiana si indigna (la stessa che, in gran parte, un anno fa sghignazzava sullo stesso argomento), spulciando tra i videolog, spuntano già videolog di tredicenni parlano di “libertà sessuale” o di blogger improvvisati che dicono la loro, stigmatizzando o giudicando l’accaduto. Tiziana viene ancora esaminata, commentata e, a tratti irrisa dalla rete. E muore ancora una volta.

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