25 Marzo 2020

Tampone ai giocatori, ai medici no Il pallone conta più della salute

filippo facci Se non ti fanno il tampone non sei nessuno. Dopodiché potremmo anche scrivere un articolo sui nuovi status symbol delle classi emergenti (quelle immergenti muoiono) ma il punto è più serio, perché riguarda le ragioni per cui i «privilegiati» ottengono di fare il tampone facilmente mentre chi ne ha più diritto e bisogno – i medici e i paramedici impegnati nel combattere il virus, per esempio – spesso no, in generale no. Dietro di loro, soprattutto dietro ai medici di base che seguono migliaia di persone, ci sono poi coloro che non ottengono il tampone neppure se gli stessi medici ne segnalano la grave condizione: per ottenerne uno, o per farli accettare al pronto soccorso, devono quasi essere morti. Qualche volta lo sono davvero. A disorientare è l’ esibizione candida e spesso incolpevole del privilegio: ieri l’ ex calciatore Paolo Maldini, in un’ intervista al Corriere, raccontava che «sono venuti i medici dell’ Asl, con guanti e mascherine, era martedì scorso». precedenza ai vip Cioè: sono venuti a farglielo a domicilio, a casa, a lui e alla moglie e al figlio. Maldini non ha colpe, ha spiegato di aver seguito dapprima le regole che valgono per tutti: infatti sembra che abbia ottenuto il privilegio quasi senza chiederlo, come se ci fosse un meccanismo molto italiano che dia precedenza automatica ai cosiddetti vip. Poi è chiaro che, se qualcuno accetta di raccontare la sua esperienza col Coronavirus, ti dirà pure come ha saputo di averlo: col tampone, ovvio. C’ erano dei sintomi, magari. Sintomi importanti. Ma chi li conosce meglio di chiunque, questi sintomi, sono proprio i medici e il personale paramedico a cui il tampone perlopiù non viene fatto, se non troppo tardi: l’ ultimo report registrava 5.211 operatori sanitari contagiati (medici compresi) che corrisponde all’ 8 per cento dei casi positivi. I medici in prima linea, morti, sono 24. Prima ancora di discutere di tamponi da fare a tappeto, perciò, si dovrebbe parlare di tamponi a macchia di leopardo essenziali, per casi essenziali, fatti a personale essenziale. Senza contare – ormai l’ hanno capito tutti – che più basso è il numero dei tamponi e più basse saranno le cifre sparate ogni sera sul numero dei contagiati: li facessero anzitutto a chi ne ha bisogno davvero, i tamponi. Altrimenti, meno tamponi fai e meno contagiati risultano: dato consolatorio, politicamente prudente, ma falso come giuda. Quindi non si può parlare propriamente di invidia sociale se vedi il calciatore Daniele Rugani e pure la fidanzata – di passaggio – che esibiscono il loro tampone fatto direttamente a casa da una struttura pubblica, il J-Medical di Torino, che poi ha comunicato gli esiti solamente in 24 ore. Il tampone l’ hanno fatto anche allo juventino Paulo Dybala e fidanzata: stava male? No, era asintomatico. Ieri hanno trovato positivo anche Sportiello: è il primo contagiato dell’ Atalanta. Quindi la cosiddetta «rabbia del web» questa volta un senso ce l’ ha, anche perché è corroborata dalla rabbia di tanti medici e primari che l’ hanno espresso proprio in questi termini: «Incredibile, fanno i tamponi ai calciatori e non ai medici» ha detto per esempio Nicola Mumoli, primario di Medicina dell’ ospedale di Magenta. Poi qualche distinzione va fatta: nessuno, speriamo, protesterà perché il tampone l’ hanno fatto a Guido Bertolaso (che è positivo, purtroppo) che sarebbe rimasto tranquillo in Australia, se non l’ avessimo richiamato. il caso porro Lo stesso conduttore tv Nicola Porro (che è mio amico e lo difendo: vedete, funziona anche così) ha esibito il suo tampone e il suo Coronavirus in forma quasi didascalica, come a sdrammatizzare gli effetti del virus su un qualsiasi cinquantenne: ha fatto il tampone allo Spallanzani, ha esibito il suo canale preferenziale con sentita gratitudine – chi non l’ avrebbe fatto? – ma soprattutto l’ ha fatto quando il problema dei tamponi non esisteva ancora, e si pensava che fare un tampone fosse come usare un termometro quando ti senti la febbre, una cosa normale. Ora le cose sono cambiate. I medici di base raccontano di casi drammatici e inascoltati. A Bergamo c’ è un primario positivo da almeno una settimana: ai colleghi ancora non l’ hanno fatto. Stesso discorso nella questura della stessa città: c’ è un ispettore asintomatico, ma niente tampone ai colleghi. Su tutto questo ha fatto un esposto il Codacons, ma francamente non pare la strada maestra. A Genova c’ è un posto dove vai e fanno i tamponi a pagamento: non sembra la strada maestra neanche questa. Alla Regione Lombardia hanno capito che la gente si sta incazzando di brutto, e cercano di correre ai ripari. Da una parte la cruda verità: il tampone fotografa solo l’ esistente, non possono certo farne dieci milioni, l’ obiettivo non dichiarato è che tutti stiano in quarantena come se avessero il virus, intanto – dato che conta moltissimo – hanno aumentato i letti di terapia intensiva del 110 per cento in poco tempo. Dall’ altra parte c’ è il mitico assessore Giulio Gallera che elenca i primi provvedimenti: il prezioso sito dell’ Ats Milano per censire gli infetti non ospedalizzati, i kit per la telemedicina, l’ individuazione di hotel per «negativizzati» non ancora sicuramente guariti, l’ acquisto di centomila introvabili saturimetri che sono quasi meglio di un tampone. Ma il problema, una volta tanto, è anche d’ immagine: è l’ unica cosa seria – e brutta, molto brutta – che rischiano di ereditare da questo governo. Molta gente pensa che calciatori, giornalisti e altra gente nota riescano a fare il tampone, mentre medici e paramedici e sintomatici invece no, non glielo fanno fare. E questa gente lo pensa per una ragione banale: tutto sommato è vero. riproduzione riservata.

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