3 Maggio 2018

Strage, il sopravvissuto racconta «Non bisognava fare quella gita»

BOLZANO «Era una gita difficile, da non fare in una giornata dove alle 10 sarebbe iniziato il brutto tempo. Non era neanche da pensarci»: parola di Tommaso Piccioli, l’ architetto sopravvissuto all’ escursione da Chamonix a Zermatt, in cui sono morti sei suoi compagni di escursione, tra cui i tre amici bolzanini Elisabetta Paolucci, Marcello Alberti e Gabriella Bernardi. Piccioli, che ha seguito i corsi di scialpinismo con il Cai di Bolzano, racconta al Corriere della Sera come è riuscito a sopravvivere: «Ogni tanto mi veniva la voglia di lasciarmi andare, ma dopo pensavo a mia moglie. Così ho resistito, tutta la notte». Ricostruendo la dinamica della tragedia, Piccioli ricorda: «Noi sapevamo che sarebbe arrivato il brutto tempo, quindi il piano è cambiato e la nostra guida ha pensato di dirigersi direttamente ad Arolla, per accorciare il percorso. La tormenta ci bloccava la vista, io camminavo guardando solo lo schermo del gps, non si vedeva altro. Le raffiche di vento, di almeno 100 chilometri orari, ci facevano cadere quasi tutti. Io avevo il gps, ma ero l’ unico, la nostra guida aveva il gps solo nel telefonino, ma era inefficace». Il racconto di Piccioli si fa poi tragico: «Giunti ad un bivacco di fortuna, eravamo stremati: non avevamo né mangiato né bevuto, i viveri erano tutti congelati. Io ho cercato di fare dei piccoli movimenti, dondolandomi, per riscaldarmi e non addormentarmi. Ho cercato di aiutare l’ amica Betti Paolucci: lei continuava a urlare, si era messa a faccia in giù, mi chiamava ma era nel delirio, era congelata. Volevo aiutarla ma in quelle condizioni non puoi fare molto. Marcello imprecava contro la guida, dicendo di fare qualcosa. Io pensavo che Marcello ce la facesse: aveva un carattere forte, un buon fisico, era un bravo scialpinista. Lui ha continuato a chiamare la moglie, a urlare “Gabri”. Ha chiamato per due, tre ore, poi più nulla. La mattina dopo ho visto che era anche lui come gli altri, con la faccia nella neve». Il sopravvissuto conclude: «A quel punto la percezione è alterata, non ragioni bene e rischi di lasciarti andare, perché è troppo dura farcela. Io sono sopravvissuto grazie alla mia esperienza». Quando è arrivata l’ alba, Piccioli ha visto dall’ altro lato della vallata due scialpinisti ed ha così potuto dare l’ allarme e venire soccorso. Si è poi scoperto che la guida Mario Castiglioni era morto per primo, precipitando dalle rocce mentre cercava di ritrovare la strada per il rifugio de Vignettes. Gli altri 13 scialpinisti, senza punti di riferimento, hanno passato la notte a poche centinaia di metri dalla struttura, «a cinque minuti con gli sci», ma in quelle condizioni non potevano vederla. In attesa che le autorità svizzere svolgano gli accertamenti del caso, in Italia il Codacons ha annunciato ieri un esposto alla procura di Roma sulla tragedia, chiedendo di «indagare alla luce della possibile fattispecie di concorso in omicidio colposo plurimo». Il presidente Carlo Rienzi spiega: «Vogliamo capire se vi siano stati errori o omissioni che abbiano contributo a determinare i decessi, e la magistratura italiana ha facoltà di indagare su reati a danno di connazionali avvenuti all’ estero. In particolare chiediamo di accertare il ruolo degli organizzatori dell’ escursione, anche alla luce delle preoccupanti notizie emerse in queste ore in base alle quali il gruppo sarebbe uscito sprovvisto di gps funzionante, e sarebbero stati commessi errori da parte della guida, come testimoniato da Tommaso Piccioli, sopravvissuto alla tragedia». Nell’ esposto, si chiede in particolare di indagare «sulla gestione amministrativa e autorizzativa della escursione, se vi siano state possibili omissioni, se siano state valutate al meglio le condizioni climatiche in base al grado di esperienza degli escursionisti, e se vi siano state negligenze tali da aver comportato il configurarsi di diverse fattispecie penalmente rilavanti».

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