STABILIMENTI BALNEARI: CONCESSIONI SCADUTE, IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
Per giurisprudenza (ex multis Cons. Stato Sez. VI, 31/05/2006, n. 3315) “La scelta da parte dell’Amministrazione di concedere spazi di arenile, va sempre effettuata considerando il superiore interesse pubblico a garantire la libera balneazione..”.
Il mare territoriale – e con esso la spiaggia – è una res communis omnium, che tutti possono utilizzare per i loro bisogni, la proroga delle concessioni in violazione della libera concorrenza compromette gli interessi dei cittadini.
La prima contestazione della Commissione Europea risale al 2009, ad opera delle norme interne in tema di concessioni, dapprima degli articoli 43 (diritto di stabilimento) e 49 (libera prestazione di servizi) del Trattato CE (poi trasfusi del TFUE), e poi dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (cd. Bolkestein).
Il punto, come è noto, riguardava la necessità di affidare le concessioni demaniali secondo una procedura concorrenziale trasparente ed imparziale, e quindi, la illegittimità:
– tanto del cd. diritto di insistenza (la preferenza automaticamente accordata dal codice della navigazione al concessionario uscente rispetto ad altri potenziali concorrenti);
– quanto di proroghe automatiche dei titoli concessori in essere. La procedura di infrazione europea, rinnovata poi nel 2010, venne chiusa per il solenne impegno del Governo a modificare la normativa interna, a cui, all’opposto, hanno fatto seguito numerosi interventi legislativi di segno contrario. In particolare, senza considerare le norme oggetto della decisione che si commenta, dal 2010 si contano non meno di 7 disposizioni normative, che, a vario titolo e con diversa motivazione (tra cui anche la emergenza COVID) hanno prorogato, in taluni casi sino al 2033, i rapporti concessori in essere, evitando il confronto concorrenziale.
IL DIBATTITO
Le concessioni balneari ad uso turistico- ricreativo sono in Italia oggetto di molteplici dibattiti non solo sotto il profilo strettamente giuridico, ma anche politico e mediatico, attesa anche la rilevanza sul mercato nazionale. Un tema giuridicamente complesso, dal momento che in materia sono intervenuti (e continuano a intervenire) diverse norme, numerose pronunce giurisprudenziali e molteplici provvedimenti sia nazionali, sia sovranazionali.
In tal senso infatti per meglio comprensione della vicenda è opportuno ripercorrere le principali tappe dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in merito:
Per quanto concerne l’aspetto della durata delle concessioni balneari, la normativa nazionale prevedeva, in origine, il rinnovo automatico delle stesse, di sei anni in sei anni, con preferenza, all’atto della scadenza delle concessioni già rilasciate c.d. “diritto di insistenza” ovvero, una preferenza per i soggetti già titolari delle concessioni rispetto a eventuali istanze di nuovi pretendenti. Fatta salva l’ipotesi dell’eventuale insorgenza di situazioni che ne giustificassero la revoca per specifici motivi inerenti il pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse.
L’assetto consolidato è stato tuttavia messo in seria discussione dalla direttiva Servizi 2006/123/CE, nota come “Direttiva Bolkestein” la quale ha statuito che, sia per il rilascio di nuove concessioni, sia per il rinnovo di quelle in scadenza si sarebbero dovute seguire e applicare regole di evidenza pubblica ovvero, procedure pubbliche trasparenti e imparziali che consentissero anche a nuovi operatori di concorrere, in posizione di sostanziale parità, per l’ottenimento della gestione dei beni demaniali. Si sosteneva, infatti, che soltanto con le procedure pubbliche concorrenziali si sarebbero rispettati i principi di libertà di stabilimento, di parità di trattamento e di non discriminazione, sanciti dal Trattato dell’Unione Europea.
Tuttavia, l’Italia, nel corso degli anni, ha continuato ad autorizzare le proroghe delle concessioni, (da ultimo il Decreto “Milleproroghe 2023” convertito in Legge n. 14/2023) il quale fissava la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2024. Cosicché la stessa UE interveniva per mezzo di una procedura di infrazione, proprio per contrasto con i principi europei.
In questo contesto tuttavia, sono intervenute alcune pronunce del Consiglio di Stato la quale con una prima sentenza n. 3940/2024 ha stabilito che la proroga delle concessioni balneari al 31.12.2024 non è legittima ovvero, le amministrazioni locali sono obbligate a disapplicare qualsiasi ulteriore proroga che vada oltre il 31.12.2023, proprio in virtù dei limiti imposti a livello europeo. Cosicché, in prima battuta, l’orientamento giurisprudenziale è stato quello di considerare invalide le proroghe delle concessioni balneari, in perfetta coerenza con la direttiva europea di settore.
Tuttavia, allo stato attuale non manca quella parte della giurisprudenza che in ogni caso ritiene legittima la prosecuzione dell’attività degli stabilimenti balneari, anche se le concessioni sono scadute, altresì, in attesa di un intervento legislativo chiarificatore. In tale senso infatti si è pronunciato il Consiglio di Stato con alcune recenti pronunce:
– ordinanza n. 3943/2024 del Consiglio di Stato del 30.04.24 la quale, ha statuito che: “è sospesa la messa a gara delle concessioni demaniali marittime vigenti in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia Europea sulla validità dell’art. 49 del Codice della Navigazione” .
A tal proposito infatti, il medesimo Consiglio di Stato, con ordinanza n. 8010/2022 resa nel giudizio R.G. n. 8915/2021 ha sollevato dinanzi alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell’art 267 del T.F.U.E. la seguente questione pregiudiziale di interpretazione: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 del codice della navigazione nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa non venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”. Tutt’ora ancora pendente ed incardinata con identificativo C-598/22. La Corte infatti ha chiesto una serie di chiarimenti al giudice di rinvio, ai quali quest’ultimo ha risposto l’8.9.2023.
Si ricorda, infatti che l’art. 49 del Cod. Nav. recita che: “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinare la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato”. In tal senso infatti è rimessa la questione dinanzi alla Corte Europea proprio in merito alla compatibilità della normativa nazionale con il principio di proporzionalità relativo alle restrizioni delle libertà di mercato secondo la normativa europea.
Nelle more, il Consiglio di Stato con le ordinanze 1813/2024, 1814/2024 e 1815/2024 del 15 maggio 2024, Sezione Settima profilo del fumus, alla luce della complessità delle questioni, da approfondire nella sede di merito a ciò deputata, inerenti gli effetti del giudicato richiamato dal T.A.R. nell’ordinanza impugnata (anche sotto il profilo dell’esistenza di un provvedimento di concessione valido ed efficace, che la declaratoria di decadenza sembra presupporre, andando ad incidere su di esso) e la non automaticità tra il provvedimento sanzionatorio edilizio e la decadenza della concessione demaniale; – sotto il profilo del periculum, tenuto conto del fatto che, come dichiarato dallo stesso Comune, allo stato non risultano bandite gare per l’assegnazione delle concessioni, cosicché, mentre la decadenza preclude alla società appellante ogni ulteriore esercizio dell’attività imprenditoriale da essa svolta, l’immissione nel possesso dell’area da parte del Comune (peraltro non completata, visto il tenore del decreto presidenziale di accoglimento dell’istanza di tutela monocratica) non sembra poter preludere a un utilizzo dell’area stessa per l’esercizio della corrente stagione balneare: nel bilanciamento degli interessi contrapposti, perciò, appare preminente quello del privato, tenuto conto che in questo modo sono altresì soddisfatti gli interessi pubblici alla manutenzione dell’area e alla percezione dei canoni demaniali senza soluzione di continuità;” La conseguenza di tale orientamento sembrerebbe rendere legittimo che gli attuali gestori, anche senza concessioni valide, continuino ad operare, tenuto conto del fatto ulteriore che allo stato non risultano bandite gare per l’assegnazione delle concessioni da parte dei Comuni.
RIASSUMENDO
Alla luce di quanto sopra espresso, è evidente la notevole criticità del settore, che si concretizza anche con l’esistenza di posizioni giurisprudenziali discordanti e frammentarie al momento però indirizzate verso la prosecuzione degli stabilimenti balneari pregressi. In relazione alle ultime ordinanze cautelari, potremmo auspicare che nell’inerzia da parte dei Comuni di rientrare in possesso delle aree ed in assenza di nuove gare, si attende in primo luogo una pronuncia europea chiarificatrice in merito, che ad oggi tarda ad arrivare. Ad oggi le concessioni balneari non sono più valide e sono scadute, cosicché a rigor di logica è coerente lasciare libere e usufruibili le spiagge a tutti i cittadini, atteso inoltre che i Comuni, ancor prima della rimessione della questione giuridica dinanzi alla Corte Europea, non si sono mai attivati per l’indizione delle procedure per l’assegnazione delle concessioni secondo i principi di libera concorrenza e rotazione nel mercato.
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