15 Gennaio 2021

“Racket dei funerali, così agivano i ’cartelli’”

 

“Risulta pienamente dimostrata la configurabilità di due distinte organizzazioni criminali finalizzate alla consumazione dei delitti di corruzione”. Lo scrive il gup Grazia Nart, nelle motivazioni della sentenza in abbreviato del processo Mondo Sepolto, il racket delle pompe funebri nelle camere mortuarie degli ospedali Maggiore e Sant’Orsola, business che le due organizzazioni si spartivano.

Maxi inchiesta. L’indagine dei carabinieri, diretti dal pubblico ministero Augusto Borghini, esplose a gennaio 2019 con 30 misure cautelari – ma coinvolse 74 indagati, accusati a vario titolo tra l’altro di associazione a delinquere, riciclaggio, violazioni fiscali – e diversi sequetri che riguardarono quasi tutto il settore funerario bolognese. A metà novembre si è concluso un primo troncone del processo, con sei condanne in abbreviato, la più alta ad un anno e dieci mesi e altrettante assoluzioni. E oltre 20 patteggiamenti, fino a tre anni e sei mesi, a cui si sono aggiunti tre rinvii a giudizio e un proscioglimento in udienza preliminare. A luglio 2019 c’erano stati altri 19 patteggiamenti, tra cui quelli dei due uomini al vertice dei gruppi: quattro anni per Giancarlo Armaroli, titolare della ditta ‘Armaroli Tarozzi’ e tre anni e sei mesi per Massimo Benetti, presidente del Cif (Consorzio imprese funebri). Disposte confische totali per oltre 180mila euro, mentre sono toccati a titolo di risarcimento alle parti civili (Ausl, Sant’Orsola, Codacons, Regione Emilia-Romagna ed Eccellenza funeraria italiana) poco più di 90mila euro.

Riciclaggi. “Sul punto dell’imputazione di riciclaggio la sentenza giuridicamente è interessante e innovativa – il commento degli avvocati Guido Magnisi e Aldo Savoi Colombis per il loro assistito assolto e per il quale la Procura aveva chiesto la pena più alta, cioé due anni e otto mesi –. Nel provvedimento si afferma il principio che perché il reato si realizzi occorre una reale operazione diretta ad ostacolare la provenienza delittuosa del denaro”. Un deposito in una cassetta di sicurezza, come da accuse, dunque “non costituisce movimentazione né sostituzione a differenza di quanto avviene in un deposito in conto corrente dove le somme vengono automaticamente a confondersi anche con denaro di provenienza lecita: nel caso di una cassetta di sicurezza non c’è commistione alcuna e non c’è pertanto alcun possibilità di effetto dissimulatorio: in assenza di prelievi, il contante pur bene fungibile quello è e quello rimane”.

Due cartelli. Le accuse portarono alla luce due ‘cartelli’ di imprese che controllavano le camere mortuarie di Maggiore e Sant’Orsola. Con un unico obiettivo, “consolidare il monopolio dei funerali”. La prassi, si legge nell’atto, “vedeva agire i titolari delle imprese funebri dei due sodalizi i quali, sulla base di accordi taciti o espressi, riuscivano a farsi assegnare in modo prevalente i funerali di persone decedute negli ospedali”. Quelle assegnazioni “avvenivano tramite la costante corruttela degli infermieri addetti alle camere mortuarie dietro a pagamento in contante di somme di denaro”.

© Riproduzione riservata

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