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fonte:
- Il Secolo XIX
La class action nasce monca. La norma, già più volte corretta in corso d’ opera per arginarne gli aspetti più negativi, vede la luce senza il passaggio più significativo, quello che consentiva di ricorrere all’ azione di classe contro la pubblica amministrazione e le concessionarie di servizi pubblici. Grida al tradimento il Codacons, abbozzano le altre associazioni dei consumatori, puntualizzando che il tradimento era venuto prima, quando si era deciso che, a differenza delle imprese private, i soggetti pubblici avrebbero potuto essere puniti solo con un buffetto sulla guancia. Come spesso accade in Italia, la montagna ha partorito un topolino. In parte questo era inevitabile: la class action è figlia di un ordinamento completamente diverso dal nostro, quello americano, e un trapianto del genere non può avvenire se non al prezzo di gravi aggiustamenti. Forse, valeva la pena anche fare una considerazione di opportunità: perfino negli Stati Uniti, l’ azione di classe ha subito una degenerazione che ne ha fatto uno strumento di populismo e, a volte, addirittura di ricatto, grazie al quale, più che i consumatori danneggiati, si sono arricchiti gli avvocati. Una volta deciso di innestarla nel contesto italiano, però, era giusto tentare di trarne la massima utilità, mettendo una nuova arma nelle mani dei consumatori e facendone un mezzo per puntellare i non sempre fluidi meccanismi competitivi. In questo senso, la determinazione del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, di equiparare le pubbliche amministrazioni alle imprese private, costringendole a rispondere dei propri errori, era una questione di civiltà, prima ancora che di giustizia e di equità. Ciòè specialmente vero in un Paese dove l’ intervento pubblico è pervasivo, e dove una pluralità di servizi – che teoricamente potrebbero essere affidati al mercato – sono invece svolti in regime di monopolio, di diritto o di fatto, dallo Stato, dagli enti locali, o da società da essi partecipate. Privare i consumatori della possibilità di pretendere dai soggetti pubblici lo stesso tipo di lealtà che giustamente vogliono da parte dei soggetti privati è peggio che una fregatura. Da un lato, non c’ è ragione per cui i monopolisti pubblici (siano essi amministrazioni pubbliche o società formalmente di diritto privato, come Trenitalia) debbano essere sollevati dalle loro responsabilità. Dall’ altro, si introduce una distorsione: lo stesso tipo di comportamento, se scorretto, è sanzionato in modo diverso a seconda del dna di chi lo adotta. Il paradosso è che fare impresa diventa sempre più difficile, mentre i consumatori sono sempre più protetti (forse perfino troppo: come dimostra la class action lanciata dall’ Aduc contro Microsoft, già vittima dell’ Antitrust europeo). Invece, chi gode della protezione pubblica, tutto può e di nulla deve rispondere. «Sullo sfondo di questa legge – ha scritto Silvio Boccalatte – permane l’ ombra di un intervento parlamentare e governativo “a furor di popolo”, non tanto finalizzato a elevare gli standard di tutela per consumatori e utenti, quanto a dichiarare politicamente di aver finalmente introdotto la class action, baluardo contro le ingiustizie dei ricchi e dei prepotenti”. Senza, peraltro, colpire quelli che prepotenti spesso lo sono davvero: nessuno potrà avvalersi della class action contro l’ arroganza dei monopolisti pubblici. Forse gli italiani la class action dovrebbero farla contro la loro classe dirigente.
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