Quando 3 milioni di lire ci sembravano tanti
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fonte:
- Corriere della Sera
Cosa sono tre milioni (di lire) rispetto alla montagna alta 147 milioni (di euro) spuntata ieri a Bagnone? Un topolino, certo. Eppure è proprio da quei tre milioni che comincia la storia a tappe della fortuna italiana. Era il 7 maggio del 1933, giorno fatidico della prima lotteria del Regno. Estrazione abbinata non a Fantastico perché Pippo Baudo sarebbe nato solo tre anni dopo. Ma al Gran premio di Tripoli, all’epoca suolo patrio. Biglietti venduti a dodici lire l’uno, non molto meno rispetto ai due euro che ieri hanno cambiato la vita del toscano più invidiato d’Italia. Tre milioni al primo biglietto, due al secondo, uno al terzo. Il Codacons non c’era ancora ma già in quel 1933 si comincia a parlare di estrazione con il trucco. Su Achille Varzi, vincitore su una Bugatti, e Tazio Nuvolari, secondo su Alfa Romeo, plana la classica accusa di biscotto. Si sono messi d’accordo, dicono, per poi dividere il bottino con i possessori dei biglietti. Nessuno riuscirà mai a dimostrarlo. Ma fin da allora la storia a tappe della fortuna italiana si intreccia con quella controversa dell’invidia, dei sospetti e dei magheggi. Arriva la guerra, si ritrova la pace. L’Italia prova a togliersi la polvere di dosso e per ripartire pure il gioco si fa democratico. Non solo fortuna pura ma anche un minimo di studio e ragionamento sia pure al bar dello sport. Il 5 maggio del 1946 nasce la schedina Sisal (sì, proprio quelli del Superenalotto) cioè il Totocalcio. Giocata minima 30 lire, il «costo di un vermut» dice la pubblicità. Ma l’Italia del dopoguerra non è ancora pronta e non è difficile capire il perché. Vengono stampate 5 milioni di schedine, quelle giocate saranno solo 34 mila. Che fare di quella montagna di carta? Alla Sisal non si perdono d’animo: vengono distribuite ai barbieri, serviranno a pulire i rasoi e dureranno anni. A fare dodici, allora il punteggio massimo, è il signor Emilio Biaselli che incassa 463.146 lire. Tutto merito di quel pareggio fra Sampierdarenese e Sestrese che pochissimi avevano puntato. Passa solo un anno e si torna a contare i milioni. Primavera 1947, mentre a Roma si dimette il terzo governo De Gasperi, a Treviso il signor Aleotti Pietro cambia vita incassando 64 milioni. Lui non si era nemmeno accorto di aver vinto. Ma aveva messo cognome, nome e professione sul retro della schedina, in quello spazio bianco rimasto inutilizzato per anni (chi li sente poi parenti e amici che chiedono un prestito) e che adesso non c’è neanche più. «Aleotti Pietro artigiano del legno », aveva scritto. Costruiva bare. Il Totocalcio diventa il sogno alla portata di tutti. Per lo spoglio la Sisal deve cambiare sede, la sala d’attesa di seconda classe alla stazione di Milano non basta più. Ma per la tappa successiva della fortuna italiana si torna alla lotteria. È il 1955, l’ingegner Ferruccio Quintavalle fonda l’Autobianchi che (come lo spazio sulla schedina) oggi non c’è più. Il premio della Lotteria di Merano è arrivato per la prima volta a 100 milioni. «Premio da nababbi» titolano i giornali e in quell’Italia in bianco e nero c’è già chi sostiene che siamo all’esagerazione. Come la Gazzetta del popolo che parla addirittura di vincita «immorale». Ma arriva il boom degli anni Sessanta, si moltiplicano frigoriferi, 500, e insieme a loro anche il premio delle lotterie nazionali. Si sale a 200 milioni, 300, 500, 750. Ma per aggiungere un altro zero bisogna saltare interi capitoli della storia d’Italia ed arrivare al 1986. Mentre a Palermo, nel maxi bunker dell’Ucciardone, sta per cominciare il maxi processo contro Cosa nostra, gli occhi degli italiani sono tutti su Napoli, addirittura per una corsa di cavalli. Gran premio lotteria di Agnano, vince William Casoli su Classy Rouge. Ma soprattutto c’è qualcuno che con quel biglietto vince un miliardo. Inutile cercarlo, sono finiti i tempi in cui Aleotti Pietro metteva cognome e nome sul retro della schedina. Oramai i montepremi sono così alti che chi vince fa finta di nulla. Oppure si trasferisce dall’altra parte dell’oceano per sfuggire alle probabili richieste di parenti e affini. Quei miliardi crescono in fretta. Nella storia a tappe della fortuna, che ormai è diventata cronaca, si riaffaccia il Totocalcio: nel 1993 regala un tredici da 5 miliardi e mezzo. Nel 2001 tocca ad un gioco nuovo, il Totogol. Nel bar tabacchi di via Fabriano, a Milano, viene giocata una schedina che per la prima volta supera gli otto miliardi di lire. Ma è il canto del cigno. Totocalcio e Totogol sono ormai condannati a morte. Già tre anni prima, a distribuire miliardi aveva cominciato un gioco nuovo chiamato Superenalotto. Era il 17 gennaio del 1998, l’Italia litigava sulla cura Di Bella, Massimo D’Alema e Giuliano Ferrara litigavano pure loro ma sulla Cosa 2. A Poncarale, in provincia di Brescia, viene sfondato un altro tetto: un sei da 11 miliardi e 800 milioni di lire. Si torna a discutere di vincita esagerata, immorale, così non si può continuare. Ma non si fa in tempo a trovare una soluzione che il 31 ottobre dello stesso anno a Peschici i miliardi diventano addirittura 63. Poi arriva l’euro, si torna a ragionare in milioni e per superare quota 100 bisogna aspettare il 2008, destinazione Catania. Cento milioni di euro con il Superenalotto l’anno scorso. Cento milioni di lire alla lotteria nel 1955. Tra inflazione e vecchio conio, anche la storia a tappe della fortuna ha i suoi corsi e ricorsi.
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