12 Gennaio 2021

Processo Ilva, Ferrante all’attacco

TARANTO.  L’ultimo  testimone  della  difesa  diserta  nuovamente  l’appuntamento  con  la  corte  d’assise  causa  di  giustificati  motivi  di  salute,  il  Codacons  apre  il  giro  dei  «507»,  ovvero  delle  richieste  di  integrazione  probatoria,  chiedendo  mari  (la  confisca  degli  impianti)  monti  (l’esame  del  ministro  per  l’Ambiente  Sergio  Costa  che,  sia  detto  per  inciso,  nel  periodo  dei  fatti  per  cui  vi  è  processo  faceva  tutt’altro  Così  la  notizia  del  giorno,  nel  dibattimento  Ambiente  svenduto  chiamato  far  luce  sul  presunto  disastro  ambientale  provocato  dall’attività  dello  stabilimento  siderurgico,  sono  le  dichiarazioni  spontanee,  con  annessa  produzione  documentale  dell’ex  presidente  Ilva  (per  un  paio  di  mesi)  custode  giudiziario  Bruno  Ferrante,  già  prefetto  di  Milano.  Ferrante,  difeso  dall’avvocato  Raffaele  Errico,  è  uno  dei  47  imputati  alla  sbarra  in  un  processo  che  ha  superato  la  soglia  delle  250  udienze  si  appresta  vivere  la  fase  della  discussione.  Presidente  dell’Ilva  targata  Riva  per  appena  due  settimane  prima  del  sequestro  degli  impianti  dell’arresto  di  proprietari  dirigenti  disposto  dal  gip  Patrizia  Todisco  su  richiesta  della  Procura  guidata  da  Franco  Sebastio,  Ferrante  ha  voluto  protestare  ieri  dinanzi  alla  corte  la  sua  estraneità  ogni  addebito.  «In  alcuni  passaggi  del  processo  – ha  detto  Ferrante  – sono  stato  accusato  di  mancata  collaborazione  con  custodi  in  definitiva  con  la  stessa  Procura  della  Repubblica.  Su  questo,  desidero  evitare  ogni  equivoco.  Per  retaggio  culturale  per  storia  personale,  non  ho  mai  neanche  per  un  attimo  pensato  di  ostacolare  il  corso  della  Giustizia,  anzi  mi  sono  adoperato  da  subito  per  agevolare  le  iniziative  tendenti  migliorare  le  condizioni  ambientali  dello  stabilimento  dare  attuazione,  per  quanto  era  nelle  mie  competenze,  alle  disposizioni  dell’autorità  giudiziaria».  L’ex  prefetto  di  Milano  ha  ricordato  in  aula  che  «la  mia  nomina  presidente  era  motivata  dall’esigenza  di  avere  un  rappresentante  della  società  che  fosse  interlocutore  credibile  delle  Istituzioni,  nonché  garanzia  di  correttezza  lealtà.  Questo,  devo  ritenere,  in  virtù  della  mia  storia  professionale.  Fui  subito  immerso  in  una  situazione  difficile  complessa,  non  solo  all’interno  dell’azienda  nella  città  di  Taranto,  ma  anche  per  riflessi  livello  nazionale.  Poi,  dopo  il  26  luglio,  dopo  cioè  il  sequestro,  si  presentarono  gravi  motivi  di  tensione  sociale  di  preoccupazione  per  l’ordine  pubblico.  Furono  giorni  febbrili  intensi,  che  richiedevano  equilibrio  misura.  Questo  era  il  clima  in  cui  ero  chiamato  operare».  Ferrante  ha  ricordato  che  durante  la  sua  presidenza  fu  predisposto  il  progetto  di  copertura  dei  Parchi  minerali  fu  presentata  istanza  al  Comune  di  Taranto  per  le  necessarie  autorizzazioni.  «La  mia  attenzione  ai  temi  ambientali  è  confermata  poi  dall’Accordo  in  Regione  Puglia,  con  il  quale  impegnavo  la  società  installare  un  sistema  di  monitoraggio  delle  emissioni  lungo  tutto  il  perimetro  dello  stabilimento.  Le  accuse  nei  miei  confronti  mi  sembrano  in  verità  del  tutto  prive  di  fondamento.  Si  parla  di  reati  compiuti  da  me  con  piena  consapevolezza.  Ebbene,  come  avrei  potuto  commettere  reati  di  cui  mi  si  accusa  quando  non  avevo  alcun  potere  di  gestione  dell’area  caldo  dello  Stabilimento?»  Si  torna  in  aula  domani. 

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