26 Marzo 2009

PattiChiari, amicizia incerta

PattiChiari, amicizia incerta Rischia di nascere zoppa la nuova versione del consorzio interbancario

Tutto cominciò agli East End Studios di via Mecenate a Milano. Era un giorno di marzo del 2003:mille persone,l’intera classe dirigente del sistema bancario, condivisero un progetto del comitato esecutivo dell’Abi. L’obiettivo era piuttosto inconsueto: recuperare la reputazione dopo una serie di disavventure parlamentari e mediatiche che andavano dai mutui in Ecu all’anatocismo (gli interessi sugli interessi). Il direttore generale dell’Associazione Giuseppe Zadra spiegò ai convenuti che l’unica strada era ricucire il rapporto con la clientela finale, insofferente per i disservizi e i soprusi cui era spesso sottoposta. PattiChiari nacque così, per rilanciare il rapporto con i clienti e metterli in condizione di distinguere una banca dall’altra, di scegliere. Nella sua prima vita il consorzio era – ed era percepito come- una diretta emanazione delle banche e dell’Abi.Che,sfruttando le potenzialità di internet, si erano inventate un complesso marchingegno per mettere a con-fronto i costi dei conti correnti. Il sistema creditizio era nell’occhio del ciclone per la scarsa concorrenza sui prezzi dei servizi offerti e con questa "operazione trasparenza" puntava a redimersi presso l’opinione pubblica: «Ecco qua i costi, scegliete voi il conto corrente più economico». In realtà il meccanismo era (ed è tuttora) troppo complicato per risultare efficace. I tentativi di semplificarlo hanno cozzato nei cavilli degli avvocati e sono andati a vuoto. Man mano si sono aggiunti altri servizi come la ricerca del Bancomat in funzione più vicino a casa e la valutazione della rischiosità dei titoli sulla base del rating.«PattiChiari nasce per questo – obietta Elio Lannutti, senatore dell’Idv e presidente dell’Adusbef – rispondere agli scandali del risparmio tradito (Cirio, Parmalat, Argentina) con un certificato di garanzia che rassicurasse i risparmiatori. Poi, quando è scoppiata la crisi con il fallimento di Lehman, è saltato fuori che c’erano 57 titoli tossici tra quelli sicuri secondo Patti Chiari». I banchieri rifiutano questa visione (si veda l’articolo di Filippo Cavazzuti qui a fianco): «PattiChiari registrava solo il rating dei titoli e quindi le probabilità, più o meno alte, di default di chi li aveva emessi». Niente bollino di qualità, dunque, anche se, purtroppo, la percezione dell’opinione pubblica era proprio questa: la banca assicura al risparmiatore che su quei titoli non corre rischi. E si è visto come è andata a finire. Con l’aggravante che allo sportello gran parte degli operatori, anziché spiegare ai clienti il vero scopo del servizio di PattiChiari, propagandavano esattamente la versione popolare: «Compra questo titolo e stai tranquillo al 100 per cento». Colpa della scarsa educazione finanziaria dei bancari, oltre che dei risparmiatori. Ma colpa anche dei piani di incentivazione con cui le banche spingono i dipendenti a vendere alcuni prodotti anziché altri. Al di là dell’incidente Lehman, dopo la legge sul risparmio e con la nuova divisione dei compiti tra le autorità di vigilanza, le banche sono state messe nell’angolo. Soprattutto dall’attivismo dell’Antitrust; il presidente Antonio Catricalà, senza troppe perifrasi, ha detto ai banchieri: «O vi autoregolamentate o intervengo io, non va bene che solo una parte delle banche aderisca, magari solo parzialmente». Così Zadra ha organizzato un pacchetto di interventi centrato su una nuova versione di PattiChiari che cambia pelle: prima esisteva un elenco di impegni e ogni banca decidevaa quali aderire, adesso chi ci sta deve prenderli tutti in blocco. Si lavora su quattro filoni: portabilità, semplicità e chiarezza informativa, assistenza, sicurezza. La discussione per definire i 30 impegni minimi ( che in partenza erano molti di più) è alquanto laboriosa ma alla fine si raggiunge l’accordo. E il punto forte è che PattiChiari si rende autonomo dall’Abi:il presidente è un banchiere "anomalo" come Cavazzuti, con una sua storia nelle istituzioni e la consuetudine con i regolatori;  e nascono due organismi (Comitato di consultazione e Comitato tecnico dei motori di informazione e confronto) che includono le associazioni dei consumatori (14,dall’Adiconsum al Codacons) tranne le due ribelli. Ma il mal di pancia di una parte delle banche non passa. Qualcuna, come la Etruria, si era già sganciata. E un bel giorno, sconfessando anche i loro rappresentanti nei vari comitati, alcune dicono che non ci stanno: quegli impegni costano troppo, bisogna mettere mano a tutti i sistemi informatici, rivedere le procedure. Cavazzuti prova a spiegare ai banchieri: «Guardate che questa è autoregolamentazione, concordata con le autorità di vigilanza, che porta alla convergenza con le norme sulla trasparenza emanate dalla Banca d’Italia». Ma gli altri obiettano: «è un meccanismo vessatorio, inutilmente costoso, tanto vale beccarci la regolamentazione esterna». I dietrologhi ci leggono anche un messaggio delle "piccole" alle "grandi" in vista dell’uscita di Zadra dall’Abi alla prossima assemblea di luglio: «Vogliamo contare di più, non tagliateci fuori sulla scelta del successore ». In effetti il conflitto esiste, soprattutto da quando, con il consolidamento di UniCredit (dopo l’incorporazione di Capitalia)e di Intesa Sanpaolo, il potere nel settore è fortementeconcentrato tra Alessandro Profumo e Corrado Passera. Lannutti è lapidario: «PattiChiari è un doppione inutile e costoso, bastano le regole delle authority come quelle sulla trasparenza appe-na dettate dalla Banca d’Italia ». Ma i banchieri favorevoli al restyling non ci stanno: «Se la svolta va a buon fine, la trasparenza e l’efficienza del sistema aumentano. Questo spiega leresistenzedi chi rema contro». Banca d’Italia, Antitrust e Consob, che hanno contribuito a mettere a punto i 30 progetti, scrutano perplesse la diatriba tra le banche. Curiose di capire se reputazione e autoregolamentazione, nel 2009, sono ancora termini in voga.

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