21 Ottobre 2014

Parti, allarme Campania «Troppi ospedali insicuri»

Parti, allarme Campania «Troppi ospedali insicuri»

Gigi Di Fiore In gergo tecnico, i medici la chiamano «epidemia di tagli cesarei». C’ era una volta la donna che, seguendo anche insegnamenti cattolici, accettava di «partorire con dolore». In sala parto e non in sala operatoria. Parto naturale, più lungo, faticoso e doloroso, invece di parto cesareo, più breve e con anestesia. C’ era una volta, soprattutto in Campania dove, rispetto alle altre regioni italiane, i cesarei sono in aumento. Lo dice l’ ultimo programma nazionale esiti elaborato dall’ Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas), l’ ente tecnico di supporto per il ministero della Salute e le Regioni. Se in Italia, la media di parti cesarei è del 26 per cento, nelle regioni del Sud la percentuale aumenta al 40 per cento. Il record, però, come da diversi anni, spetta alla Campania con il 50 per cento. Commenta Carlo Rienzi, presidente del Codacons: «Certe differenze statistiche, contenute nel programma esiti, appaiono inaccettabili. Tutti gli utenti contribuiscono a finanziare con le tasse il Servizio sanitario nazionale. Eppure, tra Nord e Sud, a leggere i dati, esistono differenze che creano cittadini di serie A e cittadini di serie B». All’ Agenas, però, specificano che i dati non corrispondono a pagelle, o a giudizi di efficienza. E aggiungono: «Il nostro è un osservatorio tecnico, in continua evoluzione, che fotografa l’ efficacia, la sicurezza, l’ efficienza e la qualità delle cure prodotte dagli ospedali italiani sulla base di 129 indicatori. Uno strumento operativo a disposizione delle Regioni, per migliorare le performance». Un parto su due, in Campania è cesareo. Le punte maggiori si registrano nelle case di cura private convenzionate. Spiega Giovanni Buonanno, per anni primario della divisione di Ginecologia e ostetricia all’ ospedale San Giovanni Bosco di Napoli: «Uno dei motivi di una così alta percentuale, che registriamo da diversi anni, è collegato all’ alto numero di case di cura private, dove si sceglie questo tipo di intervento che evita la necessità di avere supporti di emergenza in loco. Negli ospedali si dispone di divisioni di pronto intervento immediato, in grado di affrontare rischi e difficoltà improvvise, che spesso mancano nelle cliniche. È una scelta, quella del cesareo in strutture private, che potremmo definire di carattere speculativo. Di necessità, per mancanza di adeguate strutture d’ emergenza». Il regolamento del ministero della Salute, che fissa in cifre l’ insieme degli standard qualitativi e quantitativi ideali dell’ assistenza ospedaliera, fissa al 25 per cento la quota massima di cesarei primari per le divisioni dove si praticano più di 1000 parti all’ anno. Se invece la divisione esegue meno di 1000 parti, la percentuale prevista scende al 15 per cento. Rispetto a questi standard, il primato di efficienza viene raggiunto dall’ ospedale di Carate Brianza, vicino Monza: su 1629 interventi, solo il 5,16 per cento è costituito da cesarei. Seguono, subito dopo, l’ ospedale di Borgo San Lorenzo a Firenze e l’ ospedale civile di Palmanova in provicia di Udine. In coda, c’ è invece, la clinica Villa Cinzia di Napoli, con il 92,7 per cento di cesarei rispetto a 543 parti. Sempre in coda, subito dopo la clinica Mater dei di Roma (87,28 per cento su 180 parti), c’ è anche la clinica Santa Maria la Bruna di Torre del Greco in provincia di Napoli, con l’ 81,8 per cento di cesarei rispetto a 323 parti. Commenta Angela Cortese, consigliere del Pd componente della commissione regionale campana Sanità: «A dispetto dei toni trionfalistici del presidente Caldoro, la realtà è diversa. I reparti di ostetricia della nostra regione sono diventati dei veri e propri cesareifici. Un andazzo che foraggia un sistema di clientele, incidendo sui costi sanitari. Sono affari per le cliniche, su cui le Asl non vigilano né controllano». Dito puntato sul sistema delle cliniche private, dove le donne campane, per abitudini e cultura, preferiscono partorire. Dice Maurizio Guida, professore aggregato di ginecologia all’ Istituto universitario di Salerno: «In Campania, il legame fiduciario della donna al proprio ginecologo è più stretto che altrove. La paziente preferisce partorire con il proprio medico e la certezza può darla solo la clinica, con parto programmabile nei tempi e luoghi attraverso il cesareo. Paradossalmente, con i turni ospedalieri, la coincidenza del turno con il proprio medico di fiducia è assicurata solo da un cesareo. E poi, non va dimenticato, le case di cura con reparti di ginecologia sono più numerose al Sud». Ma perché ci si indigna tanto per i cesarei? Cosa implicano rispetto agli standard qualitativi e di salute previsti dal ministero? Lo spiega proprio l’ Agenas, che scrive nel rapporto: «L’ Organizzazione mondiale della Sanità sin dal 1885 afferma che una proporzione di cesarei superiore al 15 per cento non è giustificata». E aggiunge: «Il parto cesareo rispetto al parto vaginale comporta maggiori rischi per la donna e per il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in presenza di indicazioni specifiche». È così? Quali sono i rischi maggiori per una donna? Su questo, i pareri sono discordi. Ma spiega ancora il professore Maurizio Guida: «Un cesareo primario porta a probabili cesarei nei parti successivi, con tutto quello che un intervento chirurgico sempre comporta. Il taglio cesareo, in parole semplici, lascia una cicatrice nell’ utero su cui potrebbe impiantarsi la successiva gravidanza. Il rischio, in questo caso, diventa la cosiddetta placenta a creta per cui potrebbe diventare necessario tagliare anche l’ utero al momento del secondo cesareo». Rischi poco noti, complicanze successive. Eppure, proprio per evitare guai e problemi, i ginecologi preferiscono optare per un parto cesareo. È la cosiddetta medicina difensiva, che previene il rischio di cause e denunce in caso il parto vada male. Dice Vito Troiano, presidente dell’ Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri (Aogoi): «Una causa su 10 contro i medici è fatta ai ginecologi. Ogni anno, in totale, le cause medico-legali, sono in media 30mila. Il 98 per cento termina con assoluzioni o archiviazioni. Nel frattempo, si affrontano spese legali e si incentivano aumenti di costi nelle polizze di copertura assicurativa». Un problema comune a tutta l’ Italia. Anche se in Campania il dato sui cesarei è sempre maggiore che in altre regioni. Dice Raffaele Calabrò, consigliere sul settore sanitario del governatore Stefano Caldoro: «Credo che le principali motivazioni siano di carattere culturale. Le mamme preferiscono partorire in posti tranquilli e sicuri, con tempistica programmata e organizzata. Nei piani regionali, abbiamo però già previsto l’ aggregazione tra case di cura che hanno numero di posti letto bassi. Non è più ipotizzabile un’ assistenza con volumi di interventi non adeguati. Per questo, abbiamo fissato in almeno 500 parti lo standard di efficienza ottimale». La logica seguita, nella spending review sanitaria campana, è la diversificazione tra le strutture pubbliche e private, per evitare duplicazioni nell’ assistenza. Anche nella ginecologia. Sui parti, l’ Agenas ha calcolato 133 strutture che effettuano ancora meno di 500 parti all’ anno. In testa, ancora una volta, la Campania (20 strutture), seguita da Sicilia (18), Lazio (12). In termini assoluti, c’ è qualche esempio risibile: 35 parti all’ anno a Villa Regina,s truttura in provincia di Bologna; 21 all’ ospedale Nagar in provincia di Trapani. Aggiunge ancora Raffaele Calabrò: «Più interventi si fanno, più si aumenta la professionalità. In Campania, abbiamo previsto che alcuni reparti di ginecologia siano riconvertiti. Come all’ ospedale di Scafati, o al San Gennaro di Napoli, dove la chiusura è stata rinviata di tre mesi». Il rovescio della medaglie, per i ginecologi, è che tra i più giovani ci sia sempre meno dimestichezza tecnica con un parto naturale. Dice il professore Maurizio Guida: «Un rischio esistente. C’ è da aggiungere che andrebbe diffusa la cultura dei corsi di preparazione al parto da affrontare in coppia. Sono assai più diffusi al Nord, mentre da noi istituzionalizzarli nelle Asl non è sempre agevole. È un’ altra diversità culturale sulle nascite tre Nord e Sud. Su questo, bisognerebbe lavorare, per preparare le donne ad un evento che molte vivono con ansia e preoccupazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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