18 Maggio 2011

Parmalat vuole più soldi da Lactalis

Parmalat vuole più soldi da Lactalis
 

Il prezzo offerto da Lactalis di 2,60 euro per ogni azione Parmalat non è congruo, perché non conterrebbe il premio per il controllo della multinazionale del latte. E’ questo il giudizio, in gran parte scontato, che il cda di Parmalat guidato da Enrico Bondi ha emesso ieri «all’ unanimità» sull’ opa di Lactalis su Collecchio. A indirizzare in questo senso gli amministratori è stato il parere (la fairness opinion) emesso da Goldman Sachs. La stringata nota diffusa ieri non entra nei dettagli della valutazione ma ne specifica la conclusione, ovvero che «il corrispettivo offerto non rappresenti il valore del capitale economico di Parmalat nel contesto di un’ operazione di presa di controllo». Il documento completo, presentato ieri sera in Consob, dovrebbe essere diffuso tra oggi e domani, comunque prima dell’ avvio dell’ opa, fissata dal 23 maggio all’ 8 luglio. Da lì si capirà meglio quali argomenti avranno utilizzato i banchieri di Goldman per replicare alle valutazioni di Lactalis, secondo la quale il prezzo di 2,60 euro, pari alla media pagata per il 29%, incorpora già un premio sia sui multipli di mercato sia sulla media dei target price indicati dagli analisti per la Parmalat stand alone, pari a 2,37 euro. Sui prezzi di mercato il guadagno aderendo all’ offerta è, secondo Lactalis, del 13% rispetto al giorno prima dell’ annuncio dell’ opa del 26 aprile e dell’ 11,6% sull’ ultimo mese. Evidentemente queste plusvalenze potenziali sono considerate incongrue da Goldman, anche per l’ enorme cassa di 1,4 miliardi di cui Lactalis potrà usufruire grazie al controllo su Collecchio. Circa gli aspetti industriali, Goldman avrebbe sottolineato che Parmalat e Lactalis sono complementari per i mercati coperti e che possono realizzare sinergie negli acquisti, ma non nella produzione di latte. Ad ogni modo il giudizio di non congruità non ostacola l’ offerta dei francesi, che hanno sempre fatto sapere di non avere intenzione di elevare un’ offerta volontaria da 3,4 miliardi (che valorizza Parmalat 4,7 miliardi), anche per non alimentare adesioni che aggraverebbero l’ indebitamento di Lactalis, che toccherebbe i 7 miliardi in caso del 100% (ma è prevista la ricostituzione del flottante). Parallelamente al fronte finanziario procede quello giudiziario dell’ inchiesta sulla scalata di Lactalis e sui rapporti fra l’ advisor dei francesi, Société Générale, e la banca capofila della (mai nata) cordata italiana, Intesa Sanpaolo . Alla procura di Milano sono cominciati lunedì gli interrogatori di funzionari delle banche, sentiti come testimoni, e sono proseguiti anche ieri per buona parte della giornata, dopo le perquisizioni effettuate la scorsa settimana dal nucleo valutario della Guardia di Finanza di Milano presso Intesa , SocGen , Lazard e Credit Agricole . L’ attenzione del pm Eugenio Fusco sarebbe concentrata in questo momento sui modelli organizzativi richiesti dalla legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle imprese. Sotto osservazione ci sarebbero in particolare il modo in cui le due banche considerano nei rispettivi modelli la circostanza di due manager che lavorino allo stesso dossier e siano legati da una relazione coniugale: è il caso di Patrizia Micucci, capo dell’ investment banking di SocGen in Italia, e di Fabio Cané, responsabile dei progetti speciali e del private equity di Intesa Sanpaolo . Micucci è indagata per aggiotaggio, Cané per insider trading. Insieme con loro, sempre per aggiotaggio, sono stati iscritti nel registro degli indagati Carlo Salvatori, presidente di Lazard Italia, e Massimo Rossi, il manager italo-svedese capofila dei fondi esteri nella lista per il cda. Indagate sono anche le banche Lazard, Intesa Sanpaolo e SocGen , per la legge 231. Dall’ ordine di perquisizione era emerso che, secondo l’ ipotesi d’ indagine, Cané attorno al 18 marzo avrebbe rivelato alla moglie il prezzo che Intesa era intenzionata a offrire ai fondi esteri Skagen, MacKenzie e Zenit. La manager di SocGen avrebbe così avuto modo di alzare l’ offerta ai fondi per conto di Lactalis, riuscendo il 22 marzo ad acquistare a 2,80 euro il pacchetto del 15,3% che ha fatto diventare i francesi primi soci di Collecchio. Il faro su quel week-end appare solo uno degli elementi dell’ inchiesta. Il focus sarebbe anche sul periodo precedente, attorno a febbraio, quando SocGen trattava per conto di Lactalis con Intesa Sanpaolo per la costituzione di un’ alleanza per prendere il controllo di Parmalat . Anche Bondi sarebbe stato contattato per far parte del progetto, con il ruolo di presidente di Parmalat . Non a caso è proprio da un esposto di Bondi (candidato capolista di Intesa Sanpaolo per il cda in vista dell’ assemblea del 25-28 giugno) che l’ inchiesta ha preso l’ avvio. Gli inquirenti vogliono verificare se Micucci e Cané abbiano lavorato sul dossier anche in quella fase, e con quali ruoli e seguendo quali regole e cautele. L’ inchiesta è ancora agli inizi: interrogatori ed esami delle carte serviranno a tracciare un quadro completo di ciò che è successo tra la fine di gennaio e il 22 marzo. E non è detto che emergano violazioni di legge. D’ altronde il ceo di Intesa Sanpaolo , Corrado Passera, giovedì scorso ha voluto precisare che «l’ iscrizione di Intesa è un fatto automatico e non cambia l’ opinione dell’ istituto secondo cui non ci sono comportamenti lesivi degli interessi della banca». Intanto oggi il Tar del Lazio si pronuncerà sul ricorso del Codacons che ha chiesto di bloccare l’ opa di Lactalis. (riproduzione riservata)

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