3 Dicembre 2015

Pagheremo il caffè col bancomat

Pagheremo il caffè col bancomat
si fa strada l’ idea pd. confesercenti: ma il pos costa 1700 euro

Sergio Boccadutri è entrato nel Pd da sinistra, seguendo la mini-migrazione da Sel lanciata dall’ ex capogruppo Gennaro Migliore, ma dalla sua precedente vita gauchiste porta con sé un bagaglio di esperienze che continuano a ispirarlo, ad esempio quella da tesoriere di Rifondazione Comunista. In quella veste cominciò a occuparsi di flussi di denaro, di entrate e di uscite. E oltre a restare un convinto sostenitore del finanziamento pubblico ai partiti – un sistema per coprire i costi della democrazia che a molti non piace, ma è più limpido di tanti altri sperimentati in passato – da tempo cerca strumenti per rendere più tracciabili pagamenti e transazioni. Da qui la battaglia (finora persa) per abolire il biglietto da 500 euro, banconota sconosciuta alla maggioranza dei cittadini ma molto popolare fra narcotrafficanti ed esportatori di capitali. Ma soprattutto la guerra, che si annuncia sempre più probabilmente vinta, per consentire di effettuare col bancomat anche i micropagamenti. Per fare l’ esempio più frequente: non spiccioli ma tesserina magnetica per il caffè al bar o per il quotidiano in edicola. È un emendamento alla legge di stabilità che in commissione Bilancio incassa un consenso sempre maggiore. Ieri per esempio il presidente, il piddino Francesco Boccia, ha dichiarato che sosterrà convintamente la proposta: «Vent’ anni fa vivevo a Londra e utilizzavo il bancomat per pagare una sterlina. Penso sia un emendamento di civiltà per i consumatori e per il fisco». I lavori in commissione dovrebbero chiudersi sabato per approdare lunedì a Montecitorio dove, salvi maxiemendamenti proposti dal governo, dovrebbe passare portando con sé anche il sì ai micropagamenti elettronici, in edicola come in qualunque altro esercizio. È vero però che ieri Boccia aggiungeva un elemento: i costi delle transazioni «vanno dimezzati e, in alcuni casi, azzerati. Solo così cancelleremo con i fatti anche il dibattito sul contante». Si tratta di un passaggio determinante: se i sostenitori del “bancomat sempre e comunque” sanno che così si darebbe un colpo severo all’ evasione fiscale, chi si oppone spiega che alla fine saranno le banche a guadagnarci sopra. L’ azzeramento dei costi su transazioni minime annullerebbe quest’ ultimo argomento, brandito 48 ore fa dal leghista Salvini. Quanto all’ evasione, ieri Repubblica citando l’ Istat la quantificava in 270 miliardi l’ anno, con la Cgil che calcola in 15 o addirittura 20 miliardi le entrate in più per il fisco se i consumatori potessero usare il bancomat al posto delle monete. E infatti, a proposito di consumatori, ieri il Codacons plaudiva all’ emendamento citando una stima di Bankitalia: in Italia l’ 83% delle transazioni complessive è eseguito attraverso il denaro contante, a fronte di una media europea del 65%. Ma se con i costi di transazione azzerati si scongiura il rischio che le banche guadagnino anche più del fisco dai mini-pagamenti digitali, il fronte del no ha dalla sua anche un altro argomento, meno facile da superare. «I costi di installazione e di utilizzo di un nuovo Pos costituiscono un aggravio per le imprese quantificabile in circa 1.700 euro l’ anno», obiettava ieri Confesercenti, e aggiungeva: «Ci sono circa 900mila imprese che ancora non si sono dotate di terminali per bancomat e carte, e l’ obbligo comporterà una spesa complessiva di 1,5 miliardi l’ anno». Certo, in realtà molti più esercizi dovrebbero disporre del Pos: già oggi la normativa lo rende obbligatorio in moltissimi casi. Il punto è che oggi la legge prevede l’ obbligo ma nessuna sanzione per chi non lo rispetta. E nessuna legge funziona se chi la infrange non deve pagare. Fosse pure in contanti. Celestino Tabasso.

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