Occhi elettronici, garantito il controllo ma non la privacy
-
fonte:
- Panorama
in seguito all’emergenza covid-19 varie aziende italiane offrono dispositivi che rilevano a distanza dati biometrici e hanno la possibilità del riconoscimento facciale. una sorveglianza che si scontra con il diritto alla salvaguardia delle informazioni sensibili.
Mentre gli esperti sono tutti concentrati sulle incognite dell’app per smartphone con la quale il governo vorrebbe monitorare la diffusione del coronavirus in Italia, nel sottobosco commerciale dei prodotti «tech» c’è chi ha fiutato i possibili affari e, durante il lockdown, si è affrettato a brevettare nuovi dispositivi: termoscanner a distanza con riconoscimento facciale e del badge. Le aziende italiane che li commercializzano li stanno pubblicizzando come utili al controllo degli accessi ovunque sia necessario un monitoraggio costante e senza contatto per dipendenti, clienti e visitatori. Il tutto condito con la definizione «Covid-19» che in questo momento fa da passepartout per molte porte. Per uscire dalla fase di confinamento il governo e i sindacati hanno prodotto un protocollo che regola le misure anti epidemia da applicare negli ambienti di lavoro. E tra queste c’è appunto la rilevazione dell’eventuale stato febbrile. I kit sono spuntati come funghi: ci sono quelli da installare agli ingressi, dotati di congegni che controllano la temperatura corporea e misurano anche la distanza tra le persone in entrata. C’è il sofisticato Bos, per esempio, distribuito in Italia da un’azienda di Teramo, che addirittura «può rilevare chi non è dotato di mascherina», emettendo, è spiegato nella brochure che lo propone, anche un allarme acustico. Nell’illustrazione si sostiene che «memorizza automaticamente i volti, consentendo un eventuale controllo in un secondo momento». Lo strumento, infatti, permette di registrare i dati: «È possibile creare un database con oltre 15 mila volti», con tanto di «white list e black list». E, infine, è così pratico che il datore di lavoro può accedervi da qualsiasi dispositivo: la «gestione delle funzioni base», spiega l’azienda, è possibile «tramite app con connessione cloud». Insomma, memorizza i dati dove nessuno può garantire al 100 per cento una conservazione in sicurezza: sul web. La Bbs, Business software solution di Ragusa, propone il dispositivo per l’uso in ospedali, fabbriche, palestre e alberghi. Ma anche per parchi e scuole. Luoghi nei quali la raccolta dei dati sbatte in modo evidente contro la privacy di chi si trova a passare per caso e di una categoria particolarmente tutelata: i minori. Anche in questo caso c’è un database che può memorizzare 30 mila volti. Stesso discorso per il TouchLess della Loginf di Lecce: 30 mila volti memorizzabili, web server integrato e dati che si possono scaricare. O come il Tscan della brianzola Light beam, che insieme al sistema per scannerizzare e conservare i soliti 30 mila volti, mostra anche un certificato di conformità col marchio della Comunità europea. «Questi sistemi non sono illegali a priori» spiega Marco Trombadore, consulente in ambito privacy e Data protection officer. «Ma per la loro invasività, in molti casi, nutro forti perplessità sulla necessità per le imprese di utilizzarli. Bisogna trovare un equilibrio tra emergenza sanitaria e trattamento dati». Spetta alle aziende che adottano i termoscanner, infatti, assicurare gli utenti sul rispetto della privacy. La temperatura corporea, le tracce biometriche e tutti gli altri dati che riguardano la salute delle persone sono considerate informazioni sensibili. Antonello Soro, il Garante della privacy, già il 2 marzo si è affrettato a comunicare di «non effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste». «In questo contesto» aggiunge Trombadore «si deve prestare attenzione alla raccolta e alla gestione di informazioni eccedenti e al perseguimento di finalità non contemplate nei protocolli. Inoltre, i dati non devono essere diffusi o comunicati a terzi». Quindi niente controlli sull’attività lavorativa. «E non devono neppure essere realizzati sistemi che registrano informazioni di default» afferma l’esperto. «Rilevare è una cosa e registrare è un’altra. Se non serve conservare il dato non registrarlo è la soluzione». In sostanza, conclude Trombadore, «se questi strumenti conservano notizie sono rischiosissimi». Molti consumatori si sono già rivolti al Codacons, preoccupati per i rischi della tecnologia usata per prevenire la diffusione del contagio. «I rischi più temuti riguardano la cyber security» spiega a Panorama il vicepresidente di Codacons Gianluca Di Ascenzo. Secondo l’associazione dei consumatori «gli attacchi informatici d -i cui sono stati obiettivo alcune strutture ospedaliere italiane impegnate nel contrasto all’epidemia -accesso abusivo, sabotaggio o errore umano-, così come la notizia del “data break” subìto dall’app olandese “Covid-19 alert” per il tracciamento dei contatti a causa di un errore umano, mettono in evidenza i pericoli cui sono esposti i nostri dati e, soprattutto, evidenziano i possibili limiti delle contromisure di sicurezza che vengono adottate». Gli hacker hanno già tutti gli strumenti e gli episodi di intercettazione dolosa potrebbero moltiplicarsi con la rapidità del coronavirus.
fabio amendolara
-
Sezioni:
- Rassegna Stampa
-
Aree Tematiche:
- PRIVACY
-
Tags: Coronavirus, Covid-19, Gianluca Di Ascenzo, privacy