12 Luglio 2016

Maniscalco si difende: i vertici sapevano

Maniscalco si difende: i vertici sapevano
l’ accusa: «voleva far figurare ai clienti che i loro investimenti andavano bene»

La testimonianza del responsabile degli ispettori Unicredit che indagarono su quanto era avvenuto in via Gattalupa ha sostanzialmente descritto ieri l’ imputata, l’ ex direttrice Maria Carmela Maniscalco, come una che nella solitudine del proprio ufficio spostava soldi di qua e di là dai conti dei clienti, ne faceva anche uscire in contanti per circa due milioni di euro, e faceva partire un bonifico per una finanziaria dell’ industriale Erminio Spallanzani di 4,4 milioni, a insaputa dello stesso e nonostante che sul suo conto corrente tale somma non ci fosse. Quest’ ultima operazione, che poi fece scoppiare il caso a fine estate del 2009, era stata compiuta spegnendo il sistema informatico e poi forzandolo: lo ha riscontrato il perito informatico. In pratica, quei soldi, non essendo disponibili sul conto di Spallanzani, ce li mise la banca, che ha poi avviato un contenzioso per recuperarli. La Maniscalco, difesa dagli avvocati Giovanni Tarquini e Paola Fontana, sostiene che tutto quello che ha fatto aveva l’ approvazione dei vertici di Unicredit. Vertici che Spaggiari, per il suo ruolo di imprenditore conosceva bene, ha detto Tassoni: dal responsabile regionale fino al direttore generale Rodolfo Ortolani, che sarà ascoltato nella prossima udienza, il 12 settembre. Molti dei reati contestati sono a rischio prescrizione. Il teste ha delineato le re sponsabilità della Maniscalco con due elementi: le ha vergate lei, secondo la perizia calligrafica, quasi tutte le firme false con le quali sono state fatte le operazioni contestate nel processo, operazioni con il suo codice informatico, 1867, che è una vera firma. Quanto alla false non attribuite alla Maniscalco sarebbero di un’ unica mano. Per Tassoni, gli spostamenti di soldi tra i conti interni, per cui alcuni si trovavano diminuito il conto, altri lo vedevano aumentato, rispondevano alla necessità di mostrare al cliente, in quel momento, che gli affari andavano bene: gli investimenti consigliati rendevano. «Erano soddisfatti, quando se ne andavano con quel foglio che portava il timbro della banca, la firma della direttrice e attestava che i soldi erano cresciuti». Peccato che quei soldi non fossero i suoi. Gli ispettori Unicredit, ben 33, lavorarono 8 mesi per avere un quadro preciso della vicenda, e il primo mese lo fecero prima che intervenisse anche la guardia di finanza, con la quale agirono poi in sintonia. Nell’ ufficio della Maniscalco trovarono un armadio che conteneva, tra l’ altro, numerosi manoscritti: falsi rendiconti su supporto cartaceo di quella realtà virtuale che veniva mostrata ai correntisti investitori. Nell’ inchiesta, che ha portato al processo, sono stati presi in considerazione 282 conti riferiti a circa 400 persone e sono stati valutati all’ indietro anche per una decina di anni. Per avere un’ idea della questione, va detto che l’ ammon tare dei movimenti non autorizzati dai clienti, e avvenuti con firma falsa, è di 89 milioni di euro. E, sempre con firma falsa, sono stati dati 4 milioni e mezzo, in contanti, a clienti fantasma. Si presume che circa la metà di questi siano stati utilizzati internamente alla filiale per equilibrare conti interessati alle manovre. Questo, perlomeno, hanno dedotto gli ispettori confrontando le date di prelievi ed immissioni. Ma per l’ al tra metà non è possibile fare nessuna ipotesi: «Il contante non è tracciabile», ha ricordato il teste. Prima che scoppiasse il caso, per anni la Maniscalco aveva ricevuto premi di produzione da Unicredit, e indubbiamente anche i suoi clienti, prima, erano soddisfatti di lei. Adesso sia Unicredit che i clienti, con il Codacons, sono parte civile. (Otello Incerti)

Previous Next
Close
Test Caption
Test Description goes like this