Libertà (di stampa) per molti, non per tutti? Su Minzolini è bufera
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E adesso tutti contro Augusto Minzolini. Tutti tutti, no. C’è qualcuno (il consigliere Rai Alessio Gorla) che lo ha difeso, dopo aver, con un editoriale (prerogativa di un direttore), espresso la propria opinione (critica) sulla manifestazione per la libertà d’informazione che si era conclusa da poco a Piazza del Popolo a Roma, sabato 3 ottobre.
E dagli al Minzo. A partire dal comitato di redazione del Tg1 (composto da Alessandro Gaeta, Claudio Pistola e Alessandra Mancuso) che ha reagito con forza (”Mai stati schierati, il Tg1 è di tutti”, hanno scritto): chiedendo ai vertici aziendali di essere convocato con urgenza “per esprimere le proprie preoccupazioni”.
Sentimenti fatti propri anche dal presidente della Rai Paolo Garimberti. Che giudica “assolutamente irrituale quanto accaduto”, tanto che porterà il caso all’attenzione della prossima riunione del consiglio di amministrazione di viale Mazzini.
Mentre la polemica sull’opportunità dell’editoriale che ha rotto “i rituali nel tg” di massimo ascolto del servizio pubblico della tv italiana non si spegne sul piano politico, la bufera entra prepotentemente a Saxa Rubra.
Lo stesso Minzolini sembra comunque sereno e replica stringato, “quella nota del cdr, è la dimostrazione che c’è chi manifesta per la libertà di stampa, ma è intollerante verso chi ha una opinione diversa“. Non si attende provvedimenti, non ritiene di aver rotto rituali e pensa che l’evocato pluralismo del servizio pubblico sia dovere di tutta la Rai, non solo del direttore del Tg1, dunque anche di altre testate e programmi, riferisce chi ci ha parlato.
Ma le acque non sono tranquille. Nei prossimi giorni il cdr del Tg1 potrebbe convocare un’assemblea, mentre Garimberti sarebbe pronto “nel rispetto dei ruoli” ad incontrare la rappresentanza sindacale: “Il Tg1 non è mai stato schierato, nella sua storia, contro alcuna manifestazione”. Sabato, è scritto nel comunicato del cdr “il direttore lo ha allineato contro la manifestazione del sindacato unitario dei giornalisti per la libertà d’informazione, cui ha aderito una moltitudine di cittadini. Il Tg1 ha per sua tradizione un ruolo istituzionale, non è un tg di parte. È il Tg di tutti i cittadini, va in tutte le case. È servizio pubblico e rispetta ogni opinione e sensibilità per non mettere in gioco il suo patrimonio di credibilita”.
Secondo Giuseppe Giulietti di Art.21 invece “Minzolini dovrebbe scusarsi con gli italiani”, mentre Codacons, Pancho Pardi dell’Idv invocano audizioni della Vigilanza e l’intervento del dg Rai Mauro Masi.
Eppure, come giornalista e direttore, Minzolini ha soltanto espresso un’opinione. Forte, critica, non allineata sulle posizioni di chi è sceso in piazza per a libertà di stampa. Poteva farlo? Eccome no: ha solo detto quello che pensava. Doveva farlo?
Tutti quelli che sono scesi in piazza per la libertà di stampa dicono di no. Si smarca, di poco, da quest’idea il vicepresidente della commissione di Vigilanza Giorgio Merlo (Pd): “Non facciamo confusione. Il direttore del Tg1 ha tutto il diritto, com’è ovvio, di esprimere le sue legittime opinioni sulla libertà di informazione nel nostro paese. Semplicemente, la sede in cui le ha pronunciate non è quella più adatta per esprimerle”. Per lui, la nota del cdr del Tg1 “con coraggio e puntualità recupera almeno in parte la credibilità del servizio pubblico che ieri il direttore Minzolini ha gravemente offeso”.
Domanda. Semplice, banale, scevra da malizie e ironie: perché proprio quelli che sono scesi in piazza contro il bavaglio all’informazione (circondati dalle bandiere del Pd, dell’Idv, del Prc) ne vorrebbero mettere uno sulla bocca del direttore del Tg1? Si può andare in piazza a manifestare per la libertà di stampa e zittire chi non la pensa come te? Si è liberi di dire: secondo me la libertà di stampa, pensiero, informazione, parola, non è a rischio? La libertà di stampa vale solo per alcuni? O a ore? O a giorni alterni, come le targhe nei giorni di smog?
Già, lo smog. Quel grigiore che aleggia sulla questione della stampa. Ce n’è abbastanza in giro, per avere difficoltà a respirare. Soluzioni?
Una (drastica) la propone il solito ministro Renato Brunetta, alla convention dei Democristiani confluiti nel Pdl (quelli del ministro Gianfranco Rotondi): informare ogni giorno i telespettatori sulla consistenza degli stipendi dei giornalisti Rai; chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici agli editori “impuri” che hanno anche altri interessi; stop al bailamme moralistico delle opposizioni contro lo scudo fiscale del governo; guerra aperta “all’élite parassitarie”. La trasparenza, ha detto Brunetta “deve essere il ‘Mastro Lindò dell’ipocrisia. Va bene la protesta democratica dei giornalisti. Ma se vogliamo essere tutti davvero più liberi, cominciamo a pubblicare i compensi dei giornalisti Rai e i costi delle loro trasmissioni”. Per il professore, però, non basta: ogni volta che va in onda un programma politico della Rai gli utenti debbono essere informati anche delle querele ricevute e degli esiti giudiziari: “Io non permetto che un giornalista mi accusi di appartenere alla ‘casta’ se poi guadagna dieci volte il mio stipendio. Tutto questo è imbarbarimento del paese”.
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