Le quattro ipotesi per risolvere il rebus degli aumenti dell’ Iva
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fonte:
- Il Messaggero
le ricette sul tavolo: dal disinnesco parziale alla sterilizzazione immediata e completa tra le soluzioni c’ è anche uno slittamento di qualche mese dello scatto delle aliquote
IL FOCUS ROMA Un rebus con quattro possibili soluzioni, più una estrema. Lo stop alle clausole di salvaguardia sono state, per tutta la breve legislatura, la promessa scritta sulla pietra da Lega e 5 Stelle. Ma adesso che con la crisi aperta il contratto di governo è rotto e tra gli ex soci della maggioranza giallo-verde volano gli stracci, l’ impegno di fermare l’ avanzata dell’ Iva, a partire dal 2020, torna in dubbio. Cosa accadrà? Fare un pronostico certo è impossibile, tanto più che l’ evoluzione del quadro politico è in continuo cambiamento e, al momento, non è assolutamente chiaro se lo sbocco della crisi saranno le elezioni anticipate o la formazione di un nuovo esecutivo. Di certo, la crisi a ridosso di settembre rende in ogni caso complicatissima la costruzione della legge Bilancio. Tanto più che proprio l’ Iva reclama ben 23,1 miliardi per non aumentare. Al momento, come detto, lungo il destino delle aliquote Iva, ci sono quattro strade principali. La prima: se i tempi di soluzione della crisi si allungano in modo tale da impedire al prossimo governo (espressione di un possibile voto autunnale) di fare la manovra in tempo, l’ attuale governo potrebbe chiedere all’ Europa una proroga dei termini fissati per congelare l’ Iva. L’ aumento, da impegni con Bruxelles, dovrebbe scattare a gennaio: un decreto indicherebbe aprile aprendo un margine temporale. Seconda strada: l’ attuale governo dimissionario trova un accordo per sterilizzare, anche se solo parzialmente, l’ aumento dell’ Iva. Con 6 miliardi si potrebbe evitare un punto di aumento per entrambe le aliquote in ballo. Terza soluzione: il ministro dell’ Economia, Giovanni Tria, convince i colleghi dell’ esecutivo dimissionario a scegliere la strada da tempo suggerita dal titolare del dicastero di Via XX Settembre. Parte una operazione di rimescolamento delle griglie dei prodotti sottoposti all’ Iva, con il risultato che su alcuni beni le aliquote salgono, mentre su altre si riducono. Quarta ipotesi: la crisi si risolve in maniera molto rapida e si va a votare in tempi stretti. Magari a metà ottobre. Risultato: un nuovo governo nella pienezza dei suoi poteri a dicembre fa una corsa contro il tempo e trova per intero i 23,1 miliardi che servono per bloccare l’ Iva. La soluzione estrema, la quinta, quella in più che nessuno nel governo vuole prendere in considerazione: il quadro politico si ingarbuglia al punto tale non solo da rimandare il voto a tempi lunghi, ma anche da impedire ogni accordo parlamentare e all’ interno dell’ attuale governo. In questo caso la legge di Bilancio salta, l’ Italia finisce nel limbo dell’ esercizio provvisorio neutralizzando così ogni possibile spesa e le aliquote Iva salgono. In questo clima di incertezza, intanto, cominciano a circolare alcune stime sugli effetti di un aumento delle imposte sul valore aggiunto. Dalla pizza al parrucchiere i rincari dei listini in caso di ritocco dell’ Iva toccheranno numerosi prodotti di uso quotidiano e se davvero scattassero le clausole di salvaguardia, l’ aggravio per ogni famiglia nel biennio 2020-2021 sarebbe di circa 1.200 euro. LE STIME Solo una banale simulazione fatta dal Codacons. Un conto della lavandaia per mostrare cosa accadrebbe ad alcuni prodotti con aumento Iva al 26,5%, dal 22% attuale, e al 13% dal 10%. Qualche esempio: il caffè, calcolato su due pezzi per 250 grammi ciascuno, salirebbe dagli attuali 6,40 euro a 6,64. Una lattina di birra passererebbe da 1,55 a 1,61 euro, una di Coca cola da 2,05 a 2,13 euro. Stessa sorte per i prodotti per la pulizia personale: il dentifricio, ora a 2,70 euro, costerebbe 2,80, il sapone liquido per le mani da 1,80 a 1,87, il bagnoschiuma da 2,30 a 2,39 euro, lo spazzolino da denti da 2,80 a 2,90 euro. Per acquistare delle scarpe da ginnastica, bisognerebbe spendere 103,7 euro mentre ora ne bastano 100. Così pure per un jeans di marca: ora il prezzo medio è di 126 euro, salirebbe a 130,7 euro. Anche fare una piega dal parrucchiere sarà più salato: gli euro necessari saranno 16,6 contro i 16 di adesso. E se si fa un taglio, bisognerebbe a quel punto spendere 20,7 e non più 20 euro. Michele Di Branco © RIPRODUZIONE RISERVATA.
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