La spesa a prezzi d’oro per frutta e verdura aumenti fino al 230%
- fonte:
- la Repubblica
di Daniele Autieri Caffè, frutta, verdura ma non solo. Roma più vicina a Milano, ma soprattutto a Londra e New York. Il dato dell’inflazione, certificato dall’Istat e fotografia degli effetti naturali delle politiche economiche post-Covid, racconta solo in parte il cambiamento di pelle che sta vivendo la capitale, città più cara e testimone di una forbice sempre più ampia tra le fasce ricche e quelle povere della popolazione. Il peso si fa sentire prima di tutto sui prodotti ortofrutticoli, registrato come sempre da quel grande termometro dei trend alimentari che è il Centro agroalimentare romano. Secondo l’ufficio studi rilevamento prezzi del Car rispetto al 2021 il costo dei kiwi è aumentato del 25%, quello delle pere del 35 così come quello degli spinaci e della cicoria; sono cresciuti di poco anche ananas e pinoli, mentre i finocchi hanno compiuto un balzo del +230%. A guardare i prezzi analizzati all’interno del grande centro ingrosso dei generi alimentari romani, non tutti i prodotti agricoli costano di più: cavolfiore, broccolo e zucca segnano un calo del prezzo, mentre il resto rimane stabile.I dati, che vanno comunque letti anche con la lente di una congiuntura influenzata da tanti fattori, dal prezzo del carburante alle gelate invernali, rappresentano la conferma di un trend ormai stabile così come di un fenomeno sempre più diffuso. All’aumento dei prezzi dei beni essenziali si legano infatti i rincari di ristoranti, negozi, attività per il tempo libero, tendenze catturate come sempre dagli ultimi dati registrati sull’inflazione. Per l’Istat nel dicembre 2021 e rispetto allo stesso mese del 2020 l’indice dei prezzi al consumo a Roma è cresciuto del 3,9%, più del 3,2% segnalato a Milano, e leggermente più alto del 3,7% di Firenze e Napoli. Comprare beni di prima necessità costa di più, così come avviene in linea generale in tutta Italia e non solo. Ma il dato dell’inflazione, che pur testimonia l’accelerazione dei prezzi, offre solo una parte della risposta al perché gli estremi della forbice si stiano drammaticamente allontanando. Nella maggior parte dei casi, il problema è l’approvvigionamento delle materie prime, più oneroso per via di fattori differenti come ad esempio il caro carburante. Significativo è anche l’aumento delle bollette energetiche,che incidono in modo significativo sui costi delle aziende così come delle attività commerciali.A illustrare a Repubblica gli effetti di questi fenomeni è il Codacons che in questi giorni ha raccolto numerose segnalazioni sull’aumento dei prezzi nella capitale. «Il caso del caffè è emblematico — spiegano dall’associazione dei consumatori — perché il costo all’ingrosso di questo prodotto è aumentato dell’80% dal 2020». E allora non stupisce se — come certificato dalla Fiepet (la Federazione italiana esercenti pubblici e turistici della Confesercenti) — il 15% dei bar romani ha già aumentato il prezzo del caffè mentre il 70% ipotizza di farlo nelle prossime settimane.Sea questo si aggiunge che il consumo di caffè sui banconi dei bar è diminuito del 40% con la pandemia, ci capisce bene lo stato di emergenza degli 8mila bar presenti nella capitale,e la loro spinta ad aumentare i prezzi. In ogni caso, per avere la percezione di quali siano gli effetti reali del rialzo dei prezzi sulla vita di tutti i giorni, è sufficiente fare un giro virtuale su Tripadvisor, uno dei più affollati siti di informazione sull’offerta gastronomica mondiale.E qui sono tantissimi i messaggi di lamentela lasciati dai clienti che segnalano l’aumento dei prezzi per gli aperitivi e le cene consumate in alcuni dei locali storici della capitale.A ben vedere quella città accessibile a chiunque e per questo molto diversa dalle grandi capitali europee sembra non esistere più. Il 27 ottobre scorso era stata ancora una volta la Fiepet a segnalare che l’aumento dei prezzi dei ristoranti, legato a un’impennata a monte dei costi per il settore ortofrutticolo, avrebbe comportato per i ristoratori una perdita di un milione di euro per un solo fine settimana. In sostanza senza aumentare il listino sul menu i ristoratori rischiano di non sopravvivere, con la conseguenza — però — che il conto dei vari rincari registrati lungo tutta la filiera ricada sulle spalle del consumatore finale.
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