6 Febbraio 2011

La class action all’ italiana è stata una delusione

La class action all’ italiana è stata una delusione

ROMA La class action all’ italiana è stata una delusione. A poco più di un anno dal suo debutto, il bilancio presenta molte più ombre che luci. Almeno così la pensano le associazioni dei consumatori che chiedono modifiche della normativa. Pena l’ inefficacia di questo strumento a disposizione dei consumatori contro pratiche commerciali scorrette e danni subiti dalle aziende. Dunque, il rischio che diventi un’ arma spuntata. Insomma, siamo distanti anni luce dall’ esperienza americana, la patria della class action, dove sono stati ottenuti maxi risarcimenti mettendo in ginocchio le più grandi multinazionali. Basti ricordare l’ azione promossa da Erin Brockovich, l’ eroina portata sul grande schermo da Julia Roberts in un film di qualche anno fa, contro la Pacific Gas and Electric Company, riuscendo ad ottenere 330 milioni di dollari per 260 cittadini danneggiati. Un’ altra grande class action negli Usa fu quella, alla fine degli anni Novanta, contro le grandi multinazionali del tabacco conclusasi con la soddisfazione dei proponenti. Nel mirino in Italia la farraginosità della normativa che comporta un rischio troppo elevato per chi promuove l’ azione in termini di costi tutti a carico del ricorrente. Poiché la class action può essere promossa contro illeciti commessi successivamente all’ entrata in vigore della legge Sviluppo, rileva Marco Ramadori, avvocato del Codacons esperto di azioni collettive, si è cancellata l’ aspettativa di migliaia di consumatori frodati dai grandi crac come Cirio e Parmalat. Proprio per questo il più delle volte ci si limita all’ annuncio di azioni, riguardanti gli argomenti più diversi, senza poi andare avanti nell’ azione. Anche in caso di vittoria sembra che non ne valga la pena. Ne sa qualcosa Carlo Rienzi, presidente del Codacons, promotore dell’ unica class action finora dichiarata ammissibile nel settore privato, quella contro la Voden Medical, ideatrice e distributrice del “test fai da te” per la rilevazione dell’ influenza, compresa la suina e l’ aviaria: la spesa è stata di 15 mila euro, di certo eccessiva rispetto all’ eventuale restituzione dei soldi a chi ha acquistato il kit, sempre che abbia conservato lo scontrino. I consumatori puntano l’ indice anche contro l’ assenza del cosiddetto “danno punitivo”, che vige invece negli Stati Uniti, che permette ai cittadini di essere risarciti anche moralmente per il danno subito: le aziende possono essere colpite pure da pesanti sanzioni. Obiettivo: dissuaderle da pratiche scorrette. Ed è sempre del Codacons la prima class action tricolore presentata proprio il primo gennaio 2010, giorno in cui è entrata in vigore la normativa, contro due colossi bancari: Unicredit e Intesa Sanpaolo. Oggetto del contendere: le commissioni applicate dalle banche sui conti correnti in rosso giudicate troppo costose anche sulla scorta di una segnalazione dell’ Antitrust. Ad ottobre scorso, però, il tribunale di Torino ha respinto il ricorso dell’ azione collettiva già bocciato in primo grado. Discorso a parte merita l’ azione collettiva nella pubblica amministrazione dove non è previsto alcun risarcimento, ma solo il ripristino del servizio. Proprio lo scorso mese il Tar del Lazio ha accolto il ricorso sempre del Codacons contro le cosiddette “classi pollaio”, con l’ ordine al governo di fare un piano generale di edilizia scolastica. Secondo il presidente della Federconsumatori, Rosario Trefiletti, la class action è uno strumento che va usato «dopo aver esperito un tentativo di conciliazione, se c’ è un rinvio a giudizio oppure una condanna dell’ Antitrust».

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