26 Gennaio 2010

Influenza A, il “picco” non c’ è stato

 E i vaccini restano inutilizzati

DA CORRIERE.IT

MILANO – Sono tutte lì, stipate in una piccola cella frigorifera del Dipartimento di Prevenzione Pubblica della Asl di via Juvara, che le conservano a temperatura costante di quattro gradi. Ci sono i flaconcini a dosi multiple e i monodose da iniettare, chiusi dentro scatoloni bianchi su cui spicca un marchio, Novartis, e una data di scadenza, ottobre 2010. Sono le 380mila dosi di vaccino H1N1 ancora a disposizione dei milanesi che intendono immunizzarsi contro la pandemia da influenza A. E’ da questa sede che sono partiti negli scorsi mesi i rifornimenti per tutte le Asl della città, in coordinamento con gli ospedali e i medici di base. D’ obbligo l’ uso del passato perché, se le domande già a dicembre scarseggiavano, a gennaio non ne è giunta proprio nemmeno una: e questa montagna di flaconi, del valore di circa 2mln e 600mila euro, rischia di rimanere lì come merce in saldo, fuori mercato. Ma come si spiegano il clamoroso flop gli operatori e i responsabili locali, che hanno gestito in prima persona la campagna vaccinale contro la pandemia? La dott.ssa Alda De Bartolo, la “custode” dei vaccini, dopo aver stoccato nei mesi scorsi le sole 22mila dosi somministrate nel capoluogo, fotografa una situazione assurda: “L’ allarme pandemia era già stato diffuso in estate – dice mostrando l’ ammasso di confezioni pronte all’ uso – e in quei primi mesi c’ è stato il picco di richieste”. Peccato che allora i farmaci non fossero ancora stati consegnati da Novartis, e anzi sarebbero arrivati ben sei settimane dopo, il 14 ottobre. Proprio l’ arrivo tardivo dei farmaci è una delle cause di questa debacle, che è costata alle casse dello stato 184 milioni di euro, per i quali il Codacons ha istituito a dicembre una class action contro il ministero e una denuncia alla Corte dei Conti. Il direttore del Dipartimento, il dott. Edgardo Valerio (il primo in Italia ad aver sperimentato il vaccino) e il suo vice il dott. Giorgio Ciconali ricordano quando a settembre dello scorso anno code di milanesi affluivano alle Asl per chiedere la somministrazione senza poterla ricevere, perché il farmaco non c’ era. Poi la situazione si è ribaltata: è giunto il famigerato picco di aggressività, previsto dai medici e dell’ OMS “tra il 18 dicembre e il 18 gennaio”, e ciascuno ha potuto constatare in che misura si trattasse di un enorme fuoco di paglia. “Erano previsioni, per nostra fortuna, infondate”, ammette Ciconali. “Le istituzioni sanitarie non potevano non intervenire”, gli fa eco Valerio. Ma tant’ è: gli incerti hanno optato per il no, e negli scettici si è rafforzata la convinzione della natura prettamente commerciale di tutta l’ operazione. Fuggito l’ incubo, restano i costi. Che non riguardano soltanto i vaccini, ma anche il dispendio di lavoro e di energia richiesto a chi ha dovuto gestire per mesi una condizione di potenziale emergenza. Luigi Macchi, direttore dell’ ufficio regionale Governo della Prevenzione, che ha occupato dallo scorso 25 aprile, cioè per almeno sei mesi, un intero staff per gestire la complessa macchina della distribuzione, con le Asl aperte anche nei finesettimana. “Abbiamo fatto tutto quanto era in nostro dovere – afferma – con il senno del poi si può fare qualunque critica; ma le cose potevano andare diversamente. E noi saremmo stati preparati”. Quanto al destino dei farmaci avanzati? “Ancora non si sa. Dipende dal ministero”. Evidentemente non tutte le emergenze e le previsioni della scienza medica hanno ragioni fondate. “Questo allarmismo ci servirà in futuro per essere preparati qualora ci trovassimo di fronte a un vero pericolo – sostiene Valerio – . Consideriamola un’ esercitazione”.

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