Il recupero è più lento del previsto, ma perfettamente organizzato. De Falco: «Oggi sono orgoglioso dell’ Italia»
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fonte:
- Il Secolo XIX
Venti mesi dopo le hanno lanciato un salvagente fatto di cinquantasei cavi d’ acciaio, duemila tonnellate di sforzo che aumenta progressivamente fino a raddoppiare. Un miracolo di potenza e di equilibrio che dovrà far dimenticare quella notte, quando la marineria italiana diede il peggio di sé. Schettino? «Io avrò pure sbagliato: ma ero al timone da quattro minuti e il primo ufficiale non mi avvertì che eravamo fuori rotta, e il timoniere parlavamalel’ inglesee non capì i mieiordini…». Il comandante è a Meta di Sorrento, barricato in casa, a consulto con gli avvocati. Il 23 c’ è udienza e hanno patteggiato tutti, è rimasto lui a far da capro espiatorio e se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, nel Giorno della Riabilitazione. Perché serve un Colpevole per riabilitare Costa Crociere, oggi brillantemente rappresentata dall’ ingegnere genovese Franco Porcellacchia che ostenta serenità negando l’ evidenza: «Ritardo? Ma no, le dieci -dodici ore erano un’ ipotesi», in realtà si arriverà all’ alba di stamattina. Sotto il tendone da concerto che hanno allestito al porto del Giglio ci sono le troupe di tutto il mondo, americani, tedeschi, olandesi, giapponesi, nessuno azzarda il contraddittorio e anzi si alza un applauso a metà pomeriggio quando Fabrizio Curcio, della Protezione civile, annuncia che «la nave si è staccata dagli scogli». Deliziose hostess multilingue servono tè e caffè, pizza e brioches, «bravi!» grida qualcuno che si è infiltrato tra i giornalisti. Nel tinello della sua casa di Meta, davanti alla televisione, Schettino rimugina su come la nave si è incagliata, quella notte, dopo aver virato su se stessa. «Non avrebbe dovuto inclinarsi», ecco. «Soprattutto non avrebbe dovuto inclinarsi sulla fiancata di dritta», lo squarcio è dall’ altra parte e quando il sole sarà alto sul Giglio, stamattina, si vedrà. Riusciranno a nasconderlo, i dettagli tecnici del recupero navale più celebrato del mondo? Non è solo sulla chiatta galleggiante che ospita il quartier generale delle operazioni, guidate dal sudafricano Nick Sloane, che danno il meglio di sé i Grandi Riabilitatori: i dirigenti della Micoperi, soci con l’ americana Titan nel consorzio che ha ottenuto l’ appalto del recupero, quelli della Fagioli, che con il genovese Paolo Cremonini hanno diretto l’ orchestra delle pompe idrauliche tendendo e allentando cavi, gli ingegneri della Costa. Davanti alla Concordia che rialza la testa si staglia la sagoma del pattugliatore Cassiopea, Marina Militare & Fincantieri, sfilano i rimorchiatori livornesi che quella sera furono chiamati in ritardo (se avessero salvato la nave, secondo il diritto internazionale, se ne sarebbero impossessati), volteggiano gli elicotteri dipo lizia e carabinieri, si alternano motovedette della Guardia Costiera. Il Paese che funziona. Dalla capitaneria di porto di Livorno anche il comandante De Falco, che apostrofò malamente il codardo Schettino nella notte del naufragio, consegna alle agenzie la sua riflessione sull’«Italia cialtrona» finalmente vendicata: «Oggi – dice – ne posso essere orgoglioso». Così scompare presto dai set televisivi Francesca Sinatra, giovane passeggera miracolosamente scampata. «Guardate – spiega agli attoniti conduttori embedded – che quando vedete i filmati della gente infila, nei corridoi della Concordia, erano i momenti del black-out. All’ ordine di abbandono nave si sono lanciati tutti all’ arrembaggio delle scialuppe, è stato il caos totale, non avete idea di cosa sia successo davvero». Cosa è successo davvero? «Non A seguire le operazioni c’ è il procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, tra l’ altro bisognerà tentare di recuperare gli ultimi due cadaveri anche se non erano, come immaginato, incastrati sotto la fiancata. I parenti sono attesi per domani con il loro carico di dolore magli uomini che si avvicendano ai microfoni della sala stampa parlano dell’ intervento come di «qualcosa mai tentato prima», glissando sul fatto che forse, prima, non ce n’ è mai stato bisogno. Cinismo? Una produzione americana curata da Steve Burns e Brando Quilici ha gettato via i residui scampoli di pudore e sta scandagliando tutti i dettagli tecnici dell’ impresa, che intende presentare al pubblico come “The triumph of engineering”. Un pretesto, il naufragio. Sera. Nick Sloane che alle 5.20 aveva preso il caffè al bar del porto, facendo lo spiritoso sulla notte «passata splendidamente», continua a inviare impulsi dalla consolle del quartier generale sulla chiatta galleggiante. Alle 20 le previsioni parlano di operazione conclusa entro l’ alba, c’ è stato qualche problema con i cavi e tutto è cominciato con tre ore di ritardo, e speriamo che non monti il maestrale (ma la Concordia è sottovento). Sera, la tensione in calando delle catene si vede anche a occhio nudo dalle rocce che salgono al Castello, trasformate in nidi per postazioni di telecamere e macchine fotografiche. Vuol dire che fra poco smetteranno di tirare e l’ acqua comincerà a entrare nei cassoni -cisterna assicurati sulla fiancata di dritta. Allora la Concordia potrà recuperare una forza di gravità e scivolerà lentamente sulla chiglia. «Posizione in assetto – sospira Schettino – così avrebbe dovuto fermarsi quella notte. E non sarebbe morto nessuno, perché la nave non sarebbe sbandata e neanch’ io sarei scivolato nella scialuppa di poppa. Apposta l’ avevo portata sugli scogli. Perché non affondasse. Ma bisogna essere uomini di mare per capire certe manovre, e io sono stato l’ ultimo ad abbandonare la parte sommersa». Solo il Codacons, per ovvi motivi, ha scelto di dar credito a Schettino. Per l’ opinione pubblica il comandante codardo è un alibi perfetto, non si toccano il business delle crociere e il turismo marittimo del Giglio, la fama della marineria nazionale e le capacità tecnologiche del Paese. Come dice padre Lorenzo che quella notte aprì le porte della chiesa ai naufraghi, «noi non vediamo l’ ora che il relitto se ne vada, ai danni rimedieremo con il tempo. Ma nonne possiamo più di avercelo davanti agli occhi», non sono compatibili le vacanze e il dolore. Padre Lorenzo prega sinceramente per la fine dell’ incubo e confessa, candido, che lo fa tutti i giorni: «Del resto, è il mio lavoro».
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