16 Dicembre 2009

Il cartello della pasta. Indagate cinque aziende

Le associazioni dei consumatori: «Aumenti ingiustificati»

 In tempi di crisi, si sa, la pasta torna ad essere la regina delle tavole italiane. Alimento calorico soprattutto per le tasche delle aziende produttrici che dal 2007 ad oggi hanno rincarato i prezzi del made in Italy più conosciuto nel mondo fino a farlo lievitare di oltre il 50 per cento. Per questo ieri nel mirino della Guardia di finanza sono finite almeno cinque dei più grandi marchi del settore. Perquisite le sedi della Barilla, della Garofalo, della Divella, della De Cecco e della Amato, e dell’Unione italiana industriali pastai (Unipi) su richiesta del procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi e del sostituto Stefano Pesci, coordinatori dell’inchiesta aperta per verificare se tra i big pastai possa essersi costituito un "cartello" speculativo che ha fatto aumentare i prezzi delle merci. Le Fiamme gialle hanno setacciato gli uffici amministrativi della Barilla a Parma, della De Cecco a Pescara e Roma, del pastificio Garofalo a Gragnano in provincia di Napoli, di Amato a Salerno, della Di Vella a Bari e la sede dell’Unipi a Roma. E hanno sequestrato documenti e verbali anche redatti durante le riunioni dell’Unipi per verificare se ci sia stata una violazione dell’articolo 501 bis del codice penale che prevede fino a tre anni di reclusione per chi manovra speculativamente il mercato, alterando il prezzo delle merci. Al momento, sarebbe indagata una sola persona, ma il numero potrebbe essere destinato a salire. Dal canto loro, le aziende rigettano le accuse: mentre l’abruzzese De Cecco ha fatto sapere di attendere serenamente la conclusione delle indagini e di voler collaborare attivamente con la Guardia di finanza, la Barilla ha smentito categoricamente che ci sia «mai stato nessun cartello della pasta», come ha dichiarato ai microfoni di Sky Tg24 il responsabile della comunicazione, Luca Virginio. Per Massimo Menna, presidente dell’Unipi, «non ci sono mai state speculazioni né alcun accordo lesivo degli interessi dei consumatori».  A dare l’avvio all’inchiesta è stata la denuncia di aumenti ingiustificati sul prezzo della pasta presentata alle autorità giudiziarie, nell’ottobre 2007, da alcune associazioni di tutela dei consumatori: Adoc, Adusbef, Federconsumatori e Codacons. Che ieri hanno ricordato come «il prezzo della materia prima ha subito un calo vertiginoso senza che si sia tradotto in un calo del prodotto derivante e cioè quello della pasta – ha spiegato la Federconsumatori -: una famiglia che consuma un chilo di pasta al giorno spende 146 euro l’anno in più». «Il grado duro – ha aggiunto la Coldiretti – viene pagato agli agricoltori 18 centesimi al chilo mentre la pasta raggiunge la media di 1,4 euro al chilo, con un rincaro di circa il 400% se si considerano le rese di trasformazione». Alla denuncia delle associazioni dei consumatori, fece seguito subito dopo, a dicembre 2007, l’indagine avviata dall’Antitrust che mise sotto accusa ventinove delle più importanti industrie pastaie italiane, tra cui le cinque finite ieri nel mirino degli inquirenti. Poco più di un anno dopo, alla fine dello scorso febbraio, l’Antitrust sanzionò ventidue di quelle società alimentari e due associazioni di categoria per aver creato tra ottobre 2006 e marzo 2008 un cartello per i prezzi della pasta e per mettere fuori gioco la concorrenza. Le multe furono salate: dai 5 milioni di euro alla Barilla fino alla più bassa, un milione di euro comminata alla Unionalimentare, per un totale di 12 milioni di euro. Il ricorso al Tar non servì a nulla: due mesi fa, nell’ottobre scorso, i giudici del Tribunale amministrativo del Lazio confermarono le multe inflitte alle 22 aziende e alle due associazioni di categoria.  Ora il Codacons chiede di non fermarsi alla sanzioni pecuniarie ma di punire i responsabili, qualora venisse accertato il reato, con il carcere.

Previous Next
Close
Test Caption
Test Description goes like this
WordPress Lightbox