Il canone Rai è indispensabile
- fonte:
- Italia Oggi
Tra i tanti e importanti impegni presi dal nostro governo nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza c’è anche quello di eliminare dai pagamenti dovuti al settore energetico “charges unrelated to the energy sector” ossia tasse non connesse al settore stesso. Da più fonti – mediatiche e non – si è pensato che ciò facesse riferimento anche al canone Rai, in bolletta elettrica dal 2015 a seguito della legge decisa dall’allora governo Renzi. Ad oggi peraltro non si è avuta alcuna conferma in tal senso e non è affatto detto che ciò avvenga. Lo stato dell’arte è attualmente il seguente: secondo gli ultimi dati ufficiali gli introiti da canone valgono per Rai,a tutto il 2020, 1,726 miliardi di euro pari al 73% degli incassi complessivi dell’azienda. Ogni cittadino paga 90 euro all’anno (prima della riforma Renzi erano 113) di cui peraltro solo 75,4 euro arrivano alla Rai in quanto il pagamento non avviene direttamente dalle bollette all’azienda ma passa attraverso l’Agenzia delle Entrate che ne detrae, secondo legge, risorse per alimentare il Fondo dell’Editoria presso la Presidenza del Consiglio e quello per le antenne locali in capo al Mise. Non è facile quindi stimare di preciso quanto l’obbligo del canone in bolletta abbia recuperato in termini di risorse effettive per la Rai (rivenienti da un canone più basso ma da una platea più ampia) dall’area dell’evasione (che è stata sostanzialmente azzerata per i canoni normali mentre resterebbero problemi per quelli speciali) ma comunque è ipotizzabile una cifra significativa, vicina al 15%, cifra che andrebbe presumibilmente perduta se il pagamento del canone tornasse disgiunto dalle bollette elettriche. Il canone Rai trova tuttora la sua radice giuridica in una norma molto lontana nel tempo il Regio decreto legge 246 del 1938 che, negli anni, ha visto una serie di novellazioni nonché di pronunce della Corte Costituzionale. Ad oggi si può affermare che: a) si tratta di un tributo dovuto allo Stato dai detentori di apparecchiature atte alla ricezione di programmi radiotelevisivi; b) si tratta di un’imposta e non di una tassa in quanto non commisurata, neppure parzialmente, alla effettiva fruizione di un servizio; c) il gettito del canone rappresenta il corrispettivo che la concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo percepisce dallo Stato per lo svolgimento di un’attività di interesse pubblico. Pertanto la natura del canone è quella di un’imposta specifica ad importo fisso quindi oggettivamente regressiva e anche per questo, nonostante il suo importo modesto, è, secondo il Codacons, tra le più invise dai cittadini. Tuttavia è, allo stato, del tutto indispensabile se si vuole mantenere un sistema di servizio pubblico radiotelevisivo con un unico broadcaster come il legislatore italiano ha scelto e sempre confermato in quasi 70 anni. C ‘è il The Omaha World-Herald, c’è il Salt Lake Tribune e c’era in edicola il The Deseret News, posseduto dalla Chiesa di Gesù dei Santi degli ultimi giorni: tutti nomi che suonano lontani alle orecchie dei lettori italiani ma che, negli Usa, hanno lo stesso peso delle nostre storiche Gazzette. Rappresentano infatti un capillare network di giornali locali, presenti anche nei paesi più piccoli dell’esteso territorio degli Stati Uniti. Adesso, però, molti di queste testate stanno chiudendo e altre finiscono sotto la proprietà di fondi e società d’investimento, creando dibattito nell’opinione pubblica americana perché sottoposti a pesanti cure dimagranti per rimetterne in sicurezza i conti economici. Proprio di questi giorni è l’offerta dell’hedge fund Alden Global Capital per acquisire Lee Enterprises, tra i primi network indipendenti con 90 pubblicazioni locali sparse in 26 stati. Valore della proposta: 142 milioni di dollari (quasi 126 milioni di euro), con un premio del 30% sugli ultimi andamenti del titolo Lee Enterprises. Alden aveva già acquisito lo scorso maggio il gruppo della Tribune (con in portafoglio il Baltimore Sun, The New York Daily News e The Chicago Tribune), rendendolo il secondo polo d’informazione locale negli Usa, dopo Gannett. Adesso, oltre ai suoi The Daily News e Denver Post, se ingloberà anche la rete che comprende tra gli altri il St. Louis Post-Dispatch e The Buffalo News, si porterà direttamente a ridosso di Gannett, editore tra l’altro di Usa Today e di un centinaio di altri giornali locali. In sostanza, quindi, come per i giornali più grandi e anche per altri comparti merceologici, anche l’informazione locale a stelle e strisce si sta polarizzando. Solo che, se finora si sarebbe potuto parlare di monopolio di Gannett (unita con GateHouse, proprio per rafforzarsi), adesso si tende al duopolio. Non solo, è dal 2005 che Alden ha iniziato a comprare quotidiani locali e con un’ottica più ampia, secondo il sito Axios (dati 2020), quasi la metà delle testate di questo segmento appartengono ormai a società d’investimento, che procedono a ridurre significativamente i costi (anche e soprattutto del personale)ea vendere gli immobili per fare cassa. Perciò, in definitiva, il trend che tanto allarma oggi non è poi cosa così nuova. Peraltro, anche in Italia c’è molta attenzione all’informazione locale, basti guardare all’emergente gruppo del Tirreno prossimo a comprare anche la Nuova Sardegna dal gruppo Gedi (vedere ItaliaOggi del 26/11/2021) oppure online alla rete di giornali metropolitani targati Citynews. Semmai, il nodo da sciogliere è come restituire solidità economica ai giornali del territorio e qui, negli Stati Uniti, si stanno concentrando le riflessioni e gli esperimenti. Il Salt Lake Tribune, per esempio, ha adottato una ricetta che può ricordare quella del britannico The Guardian, posizionandosi a metà tra abbonamenti e donazioni volontarie. Proprio quest’anno, la testata ha annunciato di aver raggiunto la sostenibilità nei conti. Invece, a livello politico, si sta ragionando su due binari: da una parte ipotizzando un fondo di sostegno all’editoria (come di recente successo anche in Italia con uno stanziamento straordinario) e, dall’altra parte, immaginando di abbinare il concetto di filantropia a quella dell’informazione. L’idea? Garantire una serie di sgravi fiscali e agevolazioni a favore di enti non-profit che pubblichino anche giornali locali. Il fondo Alden punta al network Lee E. ma la sfida è contro l’egemonia del gruppo Usa Today L’editoria in Piazza Affari L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha chiuso due istruttorie nei confronti di Google Ireland Ltd. e di Apple Distribution International Ltd., sanzionando entrambe per 10 milioni di euro. L’Antitrust ha accertato per ogni società due violazioni del Codice del consumo, una per carenze informative e un’altra per pratiche aggressive legate all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali. Secondo il Garante, infatti, Google fonda la propria attività economica sull’offerta di prodotti e di servizi connessi a internet basati anche sulla profilazione degli utenti ed effettuata grazie ai loro dati. Apple invece raccoglie, profila e utilizza a fini commerciali i dati degli utenti attraverso l’uso dei suoi dispositivi e dei suoi servizi. L’Autorità ha ritenuto che esiste un rapporto di consumo tra gli utenti e i due operatori, anche in assenza di esborso monetario, la cui controprestazione è rappresentata dai dati che essi cedono utilizzando i servizi di Google e di Apple, ma che i due colossi non hanno fornito informazioni chiare e immediate sull’acquisizione e sull’uso dei dati a fini commerciali. Le società hanno annunciato il ricorso. Metà dei giornali locali Usa è in mano a società d’investimento DI MARCO A. CAPISANI _ _ _ _ _ © Riproduzione riservata _ _ _ _ _ _ n Usa, due poli per i giornali locali Tra donazioni e non-profit, le piccole testate si reinventano _ _ _ _ _ © Riproduzione riservata _ _ _ _ _ _ n IL PUNTO DI MAURO MASI* Antitrust, multa da 10 mln a Google e Apple *delegato italiano alla Proprietà intellettuale CONTATTI: mauro.masi@consap.itit
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