I consumatori italiani sul piede di guerra
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fonte:
- Famiglia Cristiana
Parte la prima class
action del nostro Paese, promossa dal Codacons:l’atto di citazione è
stato notificato il 30 settembre dinanzi al Tribunale di Venezia.
Intanto emerge che, secondo il quotidiano Die Welt, non soltanto il
Governo della Merkel era a conoscenza del non rispetto dei limiti sulle
emissioni, ma lo erano anche le autorità di Bruxelles. Ne parliamo con
Giuseppe di Taranto, docente alla Luissed esperto dell’economia tedesca.
In attesa di capire come l’azienda tedesca di Volksburg, attraverso la sua filiale operativa in Italia a Verona, intenda informare i clienti delle auto con motore diesel Euro 5, quelle con il software per i controllo delle emissioni “truccato”, l’associazione dei consumatori Codacons ha notificato la prima class action italiana contro la Volkswagen. Il formale atto di citazione è stato notificato il 30 settembre dinanzi al Tribunale di Venezia, territorialmente competente avendo appunto la casa tedesca sede a Verona. La Volkswagen – sostiene il Codacons – dovrà comparire davanti ai giudici il prossimo 11 febbraio 2016, per rispondere delle richieste risarcitorie avanzate dall’associazione di tutela dei consumatori.
«L’odierna azione – spiega una nota del Codacons – trova fondamento in due interessi, entrambi meritevoli di tutela e soprattutto, pur nelle loro diverse sfaccettature, caratterizzati da una loro omogeneità». Secondo l’associazione Volkswagen è chiamata in causa per «la responsabilità ex contractu, per violazione delle norme su correttezza e buonafede, inadempimento contrattuale, diversità del bene venduto rispetto a quello voluto ed elusione delle norme sulla concorrenza». In seconda battuta, Volkswagen – sostiene il Codacons – avrebbe la «responsabilità ex art. 2043 c.c. per violazione del diritto ad un ambiente salubre». Ad essere leso, poi, sarebbero anche i proprietari delle auto che a loro volta hanno diritto ad un ambiente salubre, che, «evidentemente è riferibile a tutta la vasta platea dei cittadini residenti nei Paesi in cui sono state vendute automobili che parrebbero essere costruite in violazione dei limiti massimi di emissione».
Non solo: sull’ipotesi di una class action da parte dello stesso Stato italiano, dopo gli incentivi pubblici ricevuti in passato dalla Volkswagen, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha spiegato che il Governo «valuterà tutte le possibili azioni a tutela dei cittadini e dell’amministrazione pubblica: se siamo stati ingannati o truffati è giusto che ci sia un riscontro o risarcimento». Dell’impatto del “xaso Volkswagen sui consumatori e, in generale sull’economia italiana ed europea, abbiamo parlato con Giuseppe Di Taranto, docente di Economia all’Università Luiss di Roma ed esperto del settore automotive.
Professore, lei pensa che i consumatori, non solo italiani, possano avere la sensazione che tutto il mondo dell’auto è “truccato” e che se non ci fidiamo più delle “tedesche” non ci si può fidare di nessun brand? E pensa che adesso i cinesi, accusati sinora di scarsa affidabilità, potrebbero definitivamente entrare nel mercato con il low-cost?
«La tradizione automobilistica statunitense e, soprattutto, europea, non temono i prodotti low cost della Cina, anche in termini di sicurezza ed affidabilità. La fiducia dei consumatori, però, è stata delusa e lo dimostrano le non poche Class action annunciate negli USA e in alcuni Paesi europei. Anche in Italia il Codacons, Altroconsumo o l’Unione Nazionale Consumatori da tempo fanno sentire la loro voce su questi importanti temi. Quanto accaduto, comunque, velocizzerà la ricerca di motori ibridi e di questo se ne potrebbe avvantaggiare il Giappone».
Non le sembra strano che nessuna delle case costruttrici concorrenti della Volkswagen, comprese Toyota e GM che si contendono lo scettro di prima industria al mondo, abbiano evitato commenti sui test truccati? E perché poche ore dopo la notizia si sono deprezzati in Borsa anche i titoli delle altre Case, come in un effetto domino?
«L’effetto domino che ha deprezzato gran parte dei titoli delle aziende automobilistiche è proprio la conseguenza delle aspettative che il fenomeno non sia limitato alla sola casa tedesca. C’è però da precisare che quest’ultima ha superato i limiti d’inquinamento previsti per i motori diesel di circa 40 volte e che negli Stati Uniti, a differenza dell’Unione Europea, i controlli delle diverse autorità preposte sono ex post mentre quelli delle singole imprese automotive sono ex ante. Questo spiega perché solo ora si è scoperta la vicenda. inoltre, e mi piace sottolinearlo, c’è stata una immediata dichiarazione della FCA che ha precisato che essa lavora in sintonia con l’EPA, l’Agenzia per l’ambiente statunitense, per il rispetto delle norme sulle emissioni. E questo, come giustamente lei ha osservato, nell’assordante silenzio di tutti i maggiori produttori di vetture».
Senta, si è parlato anche di una conoscenza diretta del Governo di Berlino dei test truffaldini scoperti dall’Epa americano. Le sembra possibile, e verosimile, che la signora Merkel sapesse che la centralina dei motori diesel Tdi era truccata?
«Secondo uno dei più autorevoli quotidiani tedeschi, Die Welt, non soltanto il governo era a conoscenza del non rispetto dei limiti sulle emissioni ma, elemento ancor più grave, lo erano anche le autorità di Bruxelles. D’altro canto, è opportuno non dimenticare altre inchieste aperte negli USA, e poi in Europa, che hanno coinvolto la Germania, quali la manipolazione dei tassi Euribor e Libor da parte di importanti istituti di credito teutonici».
Lei conosce bene il mercato e il Paese Germania: che cos’è questo, l’inizio del crollo del Gigante? La nazione che è sopravvissuta, e in modo straordinario, all’unificazione, rischia di andare in crisi per una bugia tecnologica e ambientale?
«L’economia tedesca non rischia il crollo, nonostante la Volkswagen sia il primo gruppo automobilistico con una quota di mercato mondiale di circa il 13% ed abbia incorporato marchi prestigiosi, anche italiani, quali Bugatti, Lamborghini o Ducati. L’unificazione della Germania permise alla Repubblica federale tedesca di ottenere la cancellazione del suo debito di guerra, come previsto dall’accordo di Londra del 1953 che già ne dimezzò l’ammontare. Sempre l’unificazione, inoltre, offrì non pochi vantaggi alla Germania ovest. Il cambio alla pari dei due marchi, occidentale ed orientale, aumentò il potere d’acquisto della popolazione dell’ex repubblica democratica e, conseguentemente, diede un rilevante impulso alla domanda della ex Repubblica federale, a danno della competitività delle aziende localizzate nella parte est. Questo processo fu accelerato dalla radicata presenza, ad ovest, di grandi aziende specializzate nei settori trainanti dell’esportazione».
Scivolone della Volkswagen a parte, non è comunque vero che il sistema industriale tedesco, insieme con la mentalità di un intero popolo, il senso del rigore, dell’efficienza, sono elementi in grado di imporre la Germania come Paese leader in Europa?
«Il rigore e l’efficienza della Germania, più presunti che reali come mostra proprio la vicenda della Volkswagen, e non solo, sono il risultato di Trattati europei che, a partire da quello di Maastricht del 1992, sono stati elaborati e pensati ad immagine e a vantaggio dell’economia tedesca. Se non ci fosse stato l’euro, il marco, unica moneta cambiata al valore di uno ad uno, si sarebbe rivalutato di circa il 40%, non permettendo all’export teutonico di essere il primo in Europa ed il terzo al mondo. Inoltre, il saldo delle partite correnti sul Pil, esportazioni e importazioni, da alcuni anni è superiore al 6%, limite massimo previsto dalle regole dell’Unione perché in un’area a moneta unica se un Paese è in surplus altri risulteranno necessariamente in deficit. Nel 2014, ultimo dato disponibile, il valore delle importazioni tedesche è stato di 1725 milioni di euro, contro i 4955 delle esportazioni, ma nessuna sanzione è stata adottata dagli organi di Bruxelles, come accadde agli inizi degli anni 2000, quando Germania e Francia, per prime, sfondarono il rapporto del 3% deficit/Pil. E l’elenco potrebbe continuare».
Lei pensa che tra qualche settimana non ne parleremo più e i tedesci riusciranno a risollevarsi, chiedendo scusa e lavorando a testa bassa? Oppure questa volta, in termini di sistema-Paese e di “made in Germany”, avranno strascichi pesanti?
«A mio avviso, l’episodio sarà presto superato perché, visto in un’ottica diversa, non intacca, anzi esalta, la tecnologia tedesca. Non si tratta, infatti, di un errore di costruzione delle auto, ma dell’applicazione a fini illeciti, e con grossi danni ambientali, di una sofisticata centralina».
In termini generali di automotive chi potrebbe uscire rafforzato dal crollo Volkswagen?
«Dagli anni ’70 del Novecento, o, se si preferisce, dalla prima crisi petrolifera, c’è stato un progressivo processo di accentramento dei brand automobilistici, che da oltre 30 si sono ormai ridotti a poco più di 10, attraverso unioni e fusioni, o, per altra via, a causa di fallimenti. Non è interesse di alcuno “dare fuoco alle polveri”, perché ora si arriverà a controlli diversi e più attendibili, anche all’interno dell’Unione europea».
Secondo lei il premier greco Alexis Tsipras, appena rieletto con una valanga di voti, potrebbe approfittare di questa figuraccia mondiale tedesca?
«Il popolo greco ha mostrato grande coerenza e determinazione contro le politiche di austerità volute dalla Germania e imposte dalla Troika. Un recente studio del tedesco, Halle instituite for economic research, ha dimostrato che tra il 2010 e il 2015 la Germania ha risparmiato, grazie allo spread sulla Grecia, 100 miliardi e che se il governo ellenico non fosse in grado di restituire quanto ricevuto per i salvataggi a tutt’oggi ottenuti, la quota che ricadrebbe sui contribuenti tedeschi non supererebbe i 90 miliardi. Nelle more, Berlino vende ad Atene armamenti e compra gli aeroporti che con l’imposizione delle privatizzazioni Tsipras è stato costretto a svendere. Non c’è bisogno, dunque, che la Grecia si giochi sullo scacchiere internazionale questa figuraccia tedesca, come Lei argutamente la definisce. Basta il buon senso per giudicare».
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