17 Gennaio 2019

Ha senso una campagna informativa sui rischi dovuti agli smartphone?

 

Il tema della sicurezza e della potenziale pericolosità dei telefonini è rientrato nel dibattito pubblico italiano con la sentenza del 16 dicembre del Tar del Lazio, con la quale si obbligano i ministeri dell’Ambiente, della salute, dell’Istruzione e della ricerca a creare una campagna informativa ad hoc sull’argomento. Secondo quanto si legge nel provvedimento, entro sei mesi ciascun ministero dovrà occuparsi della realizzazione di iniziative mediatiche “a diffusione capillare” nel proprio ambito di competenza, concentrandosi soprattutto “sull’individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile (cellulari e cordless) e sull’informazione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi all’uso improprio di tali apparecchi”.

La decisione ha fatto notizia soprattutto per come è stata raggiunta, poiché si tratta dell’accoglimento (seppur parziale) di un ricorso che era stato proposto dall’Associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog. Il tribunale, in particolare, ha giudicato eccessivamente lenta l’azione informativa da parte degli organi governativi, evidenziando come siano trascorsi troppi anni (ben sei) da quando lo stesso Ministero della salute si era espresso sul tema dei possibili rischi sanitari collegati alle radiazioni non ionizzanti emesse da smartphone e telefoni cellulari. “Nonostante il ragguardevole lasso di tempo intercorso, la preannunciata campagna informativa non risulta essere stata ancora attuata”, ha affermato il Tar per motivare la propria decisione.

Cosa cambia con questa sentenza dal punto di vista della scienza?
Nulla. Il Tar non si è affatto espresso in merito alla pericolosità degli smartphone, ma ha fatto riferimento unicamente ai tempi di attuazione delle iniziative di comunicazione da parte dei ministeri, limitandosi a constatare lo stato dell’arte della ricerca scientifica per come era già stato sintetizzato dallo stesso ministero della Salute. Una conclusione equilibrata in cui si lascia spazio a posizioni scientifiche leggermente discordanti e, nel contesto di relativa incertezza, si fa valere il principio di massima precauzione.

In breve, secondo le conoscenze scientifiche aggiornate a oggi, non è stato dimostrato alcun nesso di causalità certa tra l’esposizione alle radiofrequenze proprie dei telefonini e l’insorgenza di tumori ma, allo stesso tempo, questo rapporto di causa-effetto non può nemmeno essere del tutto escluso. Per questo motivo, come avevamo già approfondito qui su Wired, sia la International Agency for Research of Cancer (Iarc) sia l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per estrema prudenza hanno classificato le radiofrequenze dei cellulari nel gruppo dei fattori potenzialmente cancerogeni (il 2B), un gradino sotto alle sostanze probabilmente cancerogene e due più in basso di quelle certamente cancerogene.

Insomma, il tema è ancora in parte dibattuto all’interno della comunità scientifica, anche perché l’esecuzione materiale degli studi è complicata dal fatto che le eventuali conseguenze per la salute si manifestano sul lungo periodo e non sempre è facile mantenere un approccio statistico rigoroso. Qui, per provare a mettere un po’ d’ordine, avevamo raccolto gli aspetti fondamentali dei più grandi studi eseguiti dalla comunità scientifica.

In cosa potrebbe consistere la campagna informativa
Ancora non lo possiamo sapere con precisione, ma il requisito di diffusione capillare richiesto dal Tar impone un’iniziativa ben più ampia di una circolare ministeriale o di una sezione informativa sui rispettivi siti internet. Può essere interessante notare che, nonostante i “rischi per la salute” attirino più del resto l’attenzione mediatica, nella sentenza è previsto che vengano affrontati anche argomenti di carattere ambientale, e che venga spiegato quali sono le modalità d’uso più o meno corrette dei dispositivi di telefonia mobile.

Se, come è facile pronosticare, si tratterà di una campagna di sensibilizzazione volta a contenere il riscaldamento cui sono soggetti i tessuti corporei quando sono attraversati dalle radiofrequenze dei cellulari, si può pensare a una serie di consigli già molto chiacchierati e ben noti. Dal preferire l’uso di auricolari e viva-voce rispetto al classico telefono all’orecchio fino al suggerimento di limitare la durata delle telefonate se non si dispone di queste opzioni, passando per i consigli sull’alternare la posizione del cellulare tra le due orecchie e di non avvicinarlo alla testa nei primi secondi della telefonata: si tratterebbe, insomma, di regolette di buon senso perlopiù già sentite e risentite. A cui si potrebbero aggiungere, a corollario, i consigli di chiamare il meno possibile quando la copertura di rete è scarsa (perché il telefono cerca ripetutamente un’antenna a cui collegarsi), quando ci si trova all’interno di strutture metalliche (come in automobile) e mentre ci si sta muovendo ad alta velocità (in macchina, di nuovo, o in treno).

Di altri spunti ne abbiamo?
A proposito di cultura scientifica, sanitaria e tecnologica, gli argomenti da trattare di certo non mancherebbero. Perché, per esempio, non far rientrare in una campagna informativa sulle buone e cattive pratiche anche tutti gli aspetti legati al corretto smaltimento dei rifiuti high tech e delle batterie? Sappiamo, infatti, che si tratta di un tema ambientale destinato ad avere sempre maggior rilevanza a livello globale.

Oppure, per rientrare nell’ambito medico, perché non parlare di tutti gli altri effetti collaterali che un uso sconsiderato degli smartphone può indurre? Dai problemi alla vista provocati dalla luce blu all’importanza di bilanciare correttamente l’uso di questi dispositivi per i primi anni di vita dei bambini, per arrivare a citare tutte le infinite criticità economiche, tecniche, psicologiche e sociali che un uso sconsiderato o inconsapevole dello strumento potrebbe accentuare. Quello delle radiazioni a radiofrequenze, dunque, è solo uno dei tantissimi argomenti su cui si potrebbe organizzare la comunicazione istituzionale. E forse non è neppure il più interessante da trattare.

Un vero rischio è lo strizzare l’occhio alle pseudoscienze
Può darsi che un simile timore sull’anti-scienza si riveli del tutto infondato, ma dalle premesse può sorgere qualche dubbio che venga lasciato spazio a posizioni di terrorismo mediatico ingiustificato o addirittura ai complottismi. In un Paese dove, accanto a posizioni scientificamente equilibrate, trovano visibilità teorie allarmistiche prive di fondamento sulla rete 5G, movimenti di protesta sproporzionati contro l’inquinamento elettromagnetico prodotto dal Muos in Sicilia, vere e proprie bufale come l’elettrosensibilità e l’allergia al wifi, oltre che teorie del complotto come quella su Haarp, l’ipotesi che questa campagna diventi il pretesto per demonizzare alla cieca l’intero impianto delle telecomunicazioni non sembra così remota.

Non è un caso, infatti, che già dopo poche ore dalla sentenza del Tar siano comparsi in rete contenuti dalla discutibile aderenza alle conoscenze scientifiche di cui disponiamo oggi. Le Iene hanno ribadito la propria posizione sulla pericolosità del cellulare, sbandierando esperimenti auto-prodotti e citando sentenze giudiziarie anziché fare riferimento a pubblicazioni scientifiche. Quotidiano Italia ha titolato direttamente che “I cellulari fanno male alla salute”, come se il Tar si fosse pronunciato su questo punto. E il Codacons, tramite la voce del proprio presidente Carlo Rienzi, ha affermato che “è fuori dubbio che i cellulari facciano male alla salute”.

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