12 Novembre 2017

Guida per farvi rimborsare la Tari gonfiata

Gianluca BaldiniDopo che il sottosegretario all’ Economia, Pier Carlo Baretta, nel corso di un question time a Montecitorio, ha confermato l’ errore di calcolo nella tassa rifiuti (Tari) commesso da moltissimi Comuni italiani, le associazioni dei consumatori si sono attivate per far partire i rimborsi. L’ errore contestato è chiaro: la Tari si calcola basandosi su una quota fissa e una quota variabile. La prima è legata ai metri quadri della casa, la seconda al numero di occupanti. Il punto è che la quota variabile andrebbe calcolata una sola volta sull’ insieme di casa e pertinenze immobiliari, e tenuto conto del numero dei familiari. Invece molti Comuni hanno moltiplicato la quota variabile anche per il numero delle pertinenze (box, cantina, solaio) facendo lievitare la bolletta ingiustamente. Molti italiani si sono così trovati costretti a pagare un’ imposta sui rifiuti gonfiata del 25%, con picchi del 50% in più. I centri urbani coinvolti sono molti, dal Nord al Sud del Paese. Tra questi, secondo l’ associazione di consumatori Movimento difesa del cittadino, ci sarebbero Milano, Genova, Ancona, Napoli, Catanzaro e Cagliari.A chiedere delucidazioni sul pagamento errato della Tari ci aveva pensato un’ interrogazione parlamentare rivolta dal deputato pugliese Giuseppe L’ Abbate del Movimento 5 stelle, dopo una serie di segnalazioni giunte da varie città della penisola. Ora le associazioni di consumatori sono sul piede di guerra per fare ottenere ai contribuenti, al più presto, il maltolto.All’ orizzonte, dunque, si potrebbe profilare una lunga serie di cause risarcitorie contro i Comuni italiani, tanto che le casse delle amministrazioni locali corrono rischi elevatissimi di default afferma il Codacons, che da lunedì sarà promotore di una azione risarcitoria collettiva contro i Comuni che hanno riscosso somme illecite attraverso la Tari.Un provvedimento simile intende portarlo avanti anche Federconsumatori. Come spiega alla Verità il vicepresidente con delega ai rifiuti, Alessandro Petruzzi, «il primo passo sarà quello di un esposto all’ Anci, l’ associazione dei Comuni italiani, seguito da una diffida ad adempiere prevista dal “Codice del consumo” verso tutte le amministrazioni coinvolte». Dopodiché Federconsumatori intende chiedere che le somme percepite non vengano messe a bilancio, in modo da rendere il rimborso più semplice. Cosa fare, dunque? Il primo passo da compiere è quello di attendere la circolare del ministero dell’ Economia in cui lo stesso sottosegretario Baretta spiegherà come muoversi. Secondo fonti del Mef, il dipartimento finanze «emanerà in tempi molto brevi un documento di chiarimento sulle modalità di corretta applicazione della Tari».Nell’ attesa, vale la pena guardare con attenzione la bolletta con cui il Comune richiede il pagamento della Tari e dare uno sguardo al dettaglio delle somme versate. Qui si troverà l’ elenco, con tanto di dati catastali, della superficie tassata, del numero di occupanti e di chi richiede il pagamento, se direttamente il Comune o un agente di riscossione incaricato. Poi, in corrispondenza della casa e di ciascuna pertinenza, bisogna controllare quanto è stato pagato di quota fissa e variabile. La quota fissa comparirà, con il relativo importo, con riferimento alla casa e a ogni pertinenza. La quota variabile, invece, dovrebbe riportare un valore superiore a zero solo in corrispondenza dell’ appartamento. Per quanto riguarda le pertinenze, la cifra a fianco dovrebbe essere zero. Se, per fare un esempio, per il garage troviamo un valore superiore, allora è quella la cifra errata che è stata versata in più e della quale possiamo richiedere il rimborso entro cinque anni dal versamento. Il consiglio è di verificare tutti gli importi degli ultimi cinque anni, anche quando la tassa sui rifiuti di chiamava Tares.Attenzione, però. Le bollette emesse direttamente dai Comuni o da società terze scelte per la riscossione sono tutte diverse l’ una dall’ altra e spesso non fanno della trasparenza la loro migliore virtù. Una volta certi che si è pagato più del dovuto, le strade sono due. Richiedere l’ indennizzo autonomamente, oppure rivolgersi a un’ associazione di consumatori. Nel primo caso, basterà compilare una richiesta di risarcimento come quella che pubblichiamo qui in pagina e inviarla in duplice copia al Comune o al soggetto che si è occupato di riscuotere la Tari. La lettera va inviata per raccomandata con ricevuta di ritorno o attraverso posta elettronica certificata citando gli estremi dell’ interrogazione parlamentare numero 5-10764 del 18 ottobre 2017, e allegando gli avvisi di pagamento della Tari contestata. Una volta inviata la missiva non resta che attendere la risposta dell’ amministrazione pubblica, che ha sei mesi di tempo per darla. In caso di rifiuto o mancata risposta si può decidere se affidarsi a un legale o presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale.Per questo il consiglio è di affidarsi a un’ associazione di consumatori che si occuperà di tutta la trafila e di fornire anche supporto legale, nel caso fosse necessario. L’ associazione Movimento difesa del cittadino ha creato uno sportello ad hoc chiamato «Sos Tari» a cui potersi rivolgere. Anche tutte le maggiori associazioni come Federconsumatori, Codacons e Adusbef si stanno attrezzando in tal senso. Non resta che attivarsi il prima possibile. Se tutto andrà secondo i piani, il Comune rimborserà il «sovrapprezzo» entro 180 giorni dalla presentazione dell’ istanza. In questo caso, un po’ di ottimismo è lecito. Con ogni probabilità, visto che l’ errore è stato anche confermato dal sottosegretario Baretta, c’ è da credere che le amministrazioni pubbliche non dovrebbero creare troppi problemi per i rimborsi. Ma non fidarsi, è meglio.
gianluca baldini

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