Guerra di perizie sul Tempio e teste messo in discussione
- fonte:
- Il Biellese
L’udienza preliminare, davanti al Gip, si svolge nella modalità delle porte chiuse, che significa senza pubblico: giudice, accusa, difesa e parti ricorrenti. Venerdì si è celebrata l’attesa udienza che vede il giudice Arianna Pisano investita della vicenda del Tempio crematorio gestito dalla società So.cre.bi della famiglia Ravetti; porte chiuse ma tutti collegati dai propri studi attraverso una piattaforma online adottata dal Ministero della Giustizia. L’udienza ha visto così la presenza da remoto oltre del giudice, del procuratore Teresa Angela Camelio, degli avvocati degli indagati e 14 avvocati che difendono gli interessi delle quasi 600 famiglie di chi ha avuto un caro cremato dal marzo 2017, da quando con il Progetto Pegaso i ritmi di lavoro al tempio crematorio si erano più che raddoppiati, fino al settembre 2017 quando, seguito di segnalazioni arrivate in Procura da un dipendente, scattavano le indagini. Il giudice dovrà decidere se accogliere la richiesta della Procura che, processati i gestori della struttura — gli amministratori Alessandro e Marco Ravetti condannati il primo a 5 anni e 4 mesi e il secondo a 5 anni, gli altri soci ed i dipendenti condannati col patteggiamento a pene più miti — per i fatti documentati durante il mese di indagini dell’ottobre 2018 con intercettazioni e appostamenti che hanno permesso di accertare tre casi di doppie cremazioni, bene precisare, di defunti estumulati dopo un lasso di tempo dal decesso anche piuttosto lungo, ritiene non opportuno aprire un nuovo fronte processuale non avendo prove scientifiche e quindi inattaccabili rispetto a una sospetta analoga gestione scorretta anche per i mesi precedenti. A questa richiesta si sono associati i legali Marco Bozzalla e Antonio Morone che seguono la famiglia Ravetti. Di opinione opposta sono i legali delle famiglie; circa 500 sono quelle rappresentate dall’avvocato Alessandra Guarini per l’associazione di categoria Codacons. Su “il Biellese” di venerdì il procuratore, confermando la gravità delle condotte attribuite ai gestori di So.cre.bi a cui sono stati contestati 9 capi di imputazione (in particolare i reati di violazione del sepolcro, concretatosi dall’estrazione dello zinco interno ai feretri ed agli ossari per consentire di bruciare solo la parte in legno, dispersione delle ceneri), condotte dettate a suo dire da una motivazione economica (avidità) per aumentare il giro d’affari dell’azienda ricordava come nella richiesta di una pena severa — la richiesta inusuale di 8 anni — e l’opporsi alla proposta di patteggiamento, avesse già tenuto conto della serialità delle azioni e che le vittime di quel sistema potessero essere molte di più rispetto a quelle individuate. Sottolineava poi come sia stato opportuno e necessario procedere contro i Ravetti ed i loro dipendenti, che pur avrebbero eseguito per diverso tempo le istruzioni impartite senza sollevare alcun dubbio e perplessità, solo per i casi circostanziati e documentati e come sulla condanna pronunciata dal giudice di primo grado possano comunque fondarsi le pretese risarcitorie di tutti coloro che hanno un fondato motivo di ritenere di aver subito un danno da Soc.cre.bi da far valere in sede di giudizio civile. Durante l’udienza di venerdì il pm avrebbe con forza riproposto le tesi conclusive a cui era giunta la genetista Cristina Cattaneo, una delle più prestigiose studiose della materia e fondatrice di un laboratorio scientifico- punto di riferimento non solo italiano, consulente della Procura, che dalle ceneri contenute nelle urne sia impossibile tracciare il profilo genetico: nessuna prova, quindi nessun reato, quindi nessuna imputazione. Andare avanti, queste le conclusioni del pm, causerebbe oltretutto un danno erariale. Alla tesi della Cattaneo si contrappongono quelle del generale Luciano Garofano, in passato comandate del Ris di Parma, e assoldato dal Codacons. Alcune famiglie, autorizzate dalla Procura, avevano fatto analizzare le urne. Di queste non tutte, dato i costi degli accertamenti, hanno anche chiesto si procedesse al tentativo di estrazioni del profilo genetico. La relazione di Garofano, presentata al giudice, dimostrebbe la presenza nelle urne campionate di materiale estraneo a quello che dovrebbe essere contenuto in un’urna residui plastici e anche metalli, inoltre si dimostra la possibilità scientifica di procedere a tracciare profili genetici dalle ceneri come accaduto in un caso in cui si sarebbero trovati più profili. Questa è la carta più importante su cui potrebbero trovare fondamento le querele e che potrebbe portare il giudice a rinviare il fascicolo alla Procura perché disponga nuove indagini. Durante l’udienza seppur ognuno davanti al proprio schermo del computer, non sarebbero mancate scaramucce tra le parti con accuse reciproche volte a mettere in dubbio le perizie: alla Cattaneo si imputa di essere rimasta ferma rispetto agli sviluppi scientifici portati dalla ricerca negli ultimi anni, Garofano di cercare notorietà mediatica. Quello che comunque dovrà valutare il giudice è l’opportunità che si proceda a queste nuove ve- scientifiche i cui costi ricadrebbero, come per ogni indagine, sulla collettività, considerando però che se anche si riuscisse a estrarre un profilo genetico dalle ceneri ed in un’urna se ne trovasse più di uno di questi profili, difficilmente questo potrebbe provare la condotta illecita di So.cre.bi (in questo caso il reato contestabile sarebbe dispersione di ceneri perché il codice non prevede il caso di doppia cremazione) in quanto il processo di cremazione non è privo del rischio di contaminazioni. dar sostegno a chi vorrebbe l’apertura di un nuovo processo anche la perizia depositata pochi giorni prima dell’udienza dal genetista Marzio Capra, consulente tra l’altro di Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, consulente di alcuni querelanti lombardi. Il caso vuole che sulla vicenda So.cre.bi si presenti, il lettore perdoni la semplificazione giornalistica, l’eventualità di una partita di ritorno tra genetisti: la Cattaneo, consulente della Procura di Bergamo le cui risultanze sono state determinanti nella risoluzione del giallo di Yara, dall’altro il collega che ora conta di far riaprire il caso con la revisione del processo. I legali dei querelanti, tra cui l’avvocato Guarini, hanno poi ribadito come le prove per andare a un nuovo giudizio siano le stesse ammissioni di colpevolezza di Alessandro Ravetti, che, interrogato in carcere durante i circa due mesi e mezzo di detenzione cautelare si sa quanto possa essere forte la pressione psicologica esercitata da quell’ambiente su una persona fino a quel momento estranea e che non aveva mai avuto a che fare con problemi di giustizia –, come riportato nelle motivazioni della sentenza di condanna dal giudice Anna Ferretti, dichiarava che a far data dal marzo 2017, con il via del progetto Pegaso, consistente nelle cremazioni di salme provenienti anche da altre regioni, per far fronte all’aumento di feretri da cremare, fosse diventata prassi la doppia cremazione. Ammissioni contestate dalla difesa. Prova di reato sarebbe poi, sempre per i querelanti, l’impennata di fatturato del 441% dal 2016 al 2017. Un aumento esponenziale ma che in parte si può spiegare col fatto che il 2016 era il primo anno di esercizio dell’impianto e che aveva lavorato solo su 7 mesi. L’udienza iniziata alle 9,30 e terminata solo dopo le 14, ha visto poi anche, da parte della difesa Ravetti, mettere in dubbio la credibilità dei testi. In particolare di quell’ex dipendente da cui sarebbe scoppiato il caso. Sue le immagini e i video registrati che poi sono finiti in televisione attraverso il servizio delle Iene. Intervistato dalla Iena Andrea Agresti il teste si faceva riprendere di spalle e col capuccio e si faceva chiamare Filippo. L’uomo con alcuni problemi di spaccio alle spalle, dichiarava che i Ravetti avrebbero portato a casa la legna delle bare, precedentemente svuotate in casse di cartone, per essere poi bruciata nelle stufe di casa, circostanza questa mai provata. Sempre lo stesso avrebbe cercato di testimoniare l’esistenza di un giro di sostanze stupefacenti nella struttura. Insinuazioni evidentemente ritenute prive di fondamento dalla stessa Procura, che non ha proceduto. Ora le parti aspettano di sapere quale decisione prenderà il Gip. Ma se sarà un nuovo processo i Ravetti difficilmente accetteranno di farsi processare da soli ed è probabile che chiederanno l’imputazione anche dei loro ex collaboratori. Le famiglie con i loro cari cremati e che vivono nel dubbio di chi vi sia nell’urna che piangono a casa o nel cimitero, a lato un loro intervento, esprimono rammarico per la convinzione da parte della Procura di chiedere l’archiviazione e per l’invito fatto loro di rivolgersi alla giustizia civile, come se quello che cercassero, fosse il risarcimento mentre, nei fatti, dicono che è l’ultimo dei loro interessi. Gli interessi economici non sono però del tutto estranei, tanto che lo stesso procuratore avrebbe ricordato come, in caso di risarcimento accordato, una percentuale del 20% verrebbe incassata dall’associazione di categoria di riferimento.
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