Ferrarini, il ‘re della bresaola’ Pini ad Affari: “Così rilancerò il gruppo”
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- Affari Italiani
“Il mio gruppo nasce in Valtellina, in provincia di Sondrio , territori che sappiamo dove si trovano. Sono in alta Lombardia , dove tuttora abbiamo la nostra storica azienda di famiglia che produce bresaole. Nel 2013 abbiamo rilevato due tra i più grossi macelli italiani, la Ghinzelli e la Bertana. Dopo una fase di sviluppo che ha naturalmente garantito la tutela occupazionale dei due stabilimenti lombardi, siamo diventati i primi macellatori in Italia. Oggi, nelle nostre strutture macelliamo circa 1,5 milioni di suini all’ anno , di cui il 95% è destinato alle produzioni Dop , compresi i salumi. Che gli allevatori e le associazioni agricole di categoria abbiano delle preoccupazioni per una possibile ricaduta negativa della nostra proposta per la Ferrarini, onestamente, mi sembra alquanto assurdo “. Il giorno successivo al deposito della propria proposta di consordato, presentata assieme ad Amco , per il gruppo Ferrarini al Tribunale di Reggio Emilia, Roberto Pini (nella foto in alto il quarto da sinistra insieme a una delegazione di buyer giapponesi), amministratore delegato dell’ omonimo gruppo specializzato nella produzione di bresaole e il primo macellatore italiano , risponde su Affari ai timori di Coldiretti, di Confagricoltura, di parte del mondo politico e delle associazioni di consumatori sulle prospettive future dell’ azienda emiliana di prosciutti. Bolla come ” assurde ” le paure degli allevatori nazionali per eventuali delocalizzazioni degli approvvigionamenti di suini della Ferrarini e rilancia: ” Aumenteremo la percentuale di lavorazione di prodotto italiano. Tuteleremo l’ occupazione dell’ azienda emiliana e faremo crescere il gruppo, con ricadute positive finali per tutta la filiera e il territorio italiani “. L’ INTERVISTA Ci sono molte preoccupazioni industriali sulla sua proposta di concordato per il rilancio del gruppo Ferrarini. A partire dal mondo degli allevatori italiani che temono per la filiera nazionale della macellazione, soprattutto a causa della concentrazione in Spagna e Ungheria delle attività del gruppo Pini. Sono preoccupazioni reali? “Il mio gruppo nasce in Valtellina, in provincia di Sondrio, territori che sappiamo dove sono. Sono in alta Lombardia, dove tuttora abbiamo la nostra storica azienda di famiglia che produce bresaole. Nel 2013 abbiamo rilevato due tra i più grossi macelli italiani, la Ghinzelli e la Bertana. Dopo una fase di sviluppo che ha naturalmente garantito la tutela occupazionale dei due stabilimenti lombardi, siamo diventati i primi macellatori in Italia. Oggi, nelle nostre strutture macelliamo circa 1,5 milioni di suini all’ anno, di cui il 95% è destinato alle produzioni Dop, compresi i salumi. Che gli allevatori e le associazioni agricole di categoria abbiano delle preoccupazioni per una possibile ricaduta negativa della nostra proposta per la Ferrarini, onestamente, mi sembra alquanto assurdo. Abbiamo poi il 20% del mercato della macellazione italiana”. Il presidente del gruppo Ferrarini, Lisa Ferrarini La Coldiretti ha denunciato che con la proposta di concordato del gruppo Pini c’ è il rischio futuro di delocalizzazione di alcune attività della Ferrarini. E’ così? “Assolutamente no, la Ferrarini è un’ azienda riconosciuta sul mercato per i suoi prodotti made in Italy di altissima qualità. Andare a rimuovere la struttura produttiva per portarla all’ estero sarebbe una mossa totalmente illogica. Nel nostro piano di sviluppo, l’ operazione Ferrarini ci consentirebbe d’ integrare tutte le fasi della produzione: dalla macellazione in Italia di suini Dop, fino alle fasi finali di confezionamento del prodotto di alta qualità”. Quindi, non c’ è neanche il rischio di delocalizzazione degli approvvigionamenti di suini, la materia prima, come ha sottolineato ancora stamane il Codacons? “Assolutamente no, la Ferrarini è una ditta di produzione di prosciutto cotto che lavora una percentuale di prodotto nazionale e una di prodotto estero. La nostra politica di sviluppo punta sicuramente ad aumentare la prima, quella italiana, anche perché di materia prima ne abbiamo. Complessivamente, oltre tre milioni di suini all’ anno”. Quindi anche i livelli occupazionali del gruppo Ferrarini verranno salvaguardati? “Certo”. Cosa risponde a Confagricoltura che chiede di “dare prospettive di mercato solide e durature a una realtà riconosciuta del Made in Italy agroalimentare” come l’ azienda emiliana di prosciutti? “Garantiamo al 100% le prospettive future di sviluppo del gruppo. Sentire parlare, in riferimento alla nostra proposta di concordato, di delocalizzazione e di svendita del Made in Italy all’ estero mi sembra veramente strano. Pini è in primis un’ azienda italiana. Più del 30% del nostro fatturato globale si sviluppa nel nostro Paese. L’ operazione Ferrarini per noi è strategica e vogliamo svilupparla al massimo. Realizzeremo grosse sinergie fra le due strutture sia per quanto riguarda le fasi di approvvigionamento della materia prima sia per quanto riguarda le prospettive di crescita in nuovi mercati per la parte vendite”. Come si sviluppa la rete distributiva del gruppo Pini? “Abbiamo diversi uffici commerciali in tutto il mondo, con buone entrature e riusciremo a contribuire alla crescita del Made in Italy di Ferrarini all’ estero. Vendiamo in oltre 70 Paesi, in Asia fatturiamo oltre 400 milioni all’ anno. Unendo la nostra a quella di Ferrarini che può già contare su una rete consolidata di distribuzione, riusciremo a realizzare ricadute importanti per il gruppo emiliano, contribuendo così al suo sviluppo futuro e, a cascata, su quello della filiera e del territorio italiani”.
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