Falsi Modì, un testimone rivela “Il curatore cercò di vendere una tela
- fonte:
- la Repubblica
È il 16 marzo 2017, giorno dell’inaugurazione della mostra su Modigliani a Palazzo Ducale. Rudy Chiappini, piacentino trapiantato in Svizzera, per 20 anni direttore del museo d’arte moderna di Lugano e curatore della mostra genovese, è davanti al dipinto “Ritratto di Chaime Soutine”. Esposto – dice il catalogo – anche a Parigi, Pisa e Torino. Insieme a lui c’è un critico d’arte ligure, Alessandro Pernecco. Come raccontato da quest’ultimo al carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio culturale, Chiappini dice a Pernecco che il dipinto è in vendita, se potrebbe trovargli qualche potenziale acquirente. Secondo la Procura, questa è una ulteriore prova della volontà di Chiappini di utilizzare l’esposizione di Palazzo Ducale per “accreditare” un dipinto falso e fargli acquistare valore, in modo da ricavare più denaro possibile dell’affare Ed è uno degli elementi, finora inediti, che verranno discussi nelle prossime udienze di un processo che può riscrivere la storia dei Modigliani, con enormi interessi in gioco. Ieri nella prima udienza ai Magazzini del Cotone il giudice Massimo Deplano ha ammesso come parti civili lo stesso Palazzo Ducale (rappresentato dall’avvocato Cesare Manzitti) e tre associazioni dei consumatori: Codacons, Assoutenti e Adoc Liguria (fra i legali Carlo Golda). Sul banco degli imputati, invece, con le accuse di truffa, falso e contraffazione di opere d’arte oltre a Chiappini (difeso da Mario Venco) ci sono Massimo Zelman (legali Stefano Savi e Gregorio Gitti), presidente della società “Mondo Mostre Skira” che organizzò l’esposizione genovese ed è stata citata responsabile civile da Palazzo Ducale; Joseph Guttman, unghherese con base a New York proprietario di molte delle opere sequestrate (difeso dagli avvocati Massimo Boggio e Massimo Sterpi); Nicolò Sponzilli, direttore mostre Skira; Rosa Fasan, dipendente Skira. E Pietro Pedrazzini, scultore svizzero, proprietario di “Ritratto di Chaime Soutine”. Quest’ultimo secondo gli investigatori coordinati dal procuratore aggiunto Massimo D’Ovidio con la complicità di Chiappini piazzò co- autentica l’opera pur sapendola falsa. tal proposito Alessandro Pernecco – del tutto estraneo all’indagine – rintracciato da Repubblica conferma di essere stato sentito dai carabinieri, ricorda «il dialogo con Chiappini il giorno dell’inaugurazione di come «avevo già individuato due o tre possibili acquirenti, all’estero Il prezzo dell’opera per conto mio poteva oscillare fra i 2,5 e i 4 milioni di euro. Ovviamente non mi fu detto chi fosse il proprietario del dipinto, e men che meno potevo immaginare che in una mostra curata da una personalità nota come Chiappini potessero esserci dei falsi». Invece, secondo i consulenti della Procura in quell’opera ci sono pigmenti risalenti al Dopoguerra, del tutto incompatibili con la presunta data di creazione, il 1917. Per l’accusa confortata appunto da diverse consulenze tecniche, sono addirittura 20 le “patacche” andare in mostra nel 2017. Fra i testimoni chiamati a parlare dal procuratore aggiunto D’Ovidio ci sono anche due massimi esperti (o ritenuti tali) dell’opera di Modigliani. Entrambi francesi, Marc Restellini e Christian Parisot compaiono più volte negli atti dell’indagine partite grazie alla denuncia del collezionista “autodidatta” Carlo Pepi. Ma soprattutto, i due sono del tutto in contrapposizione fra loto: Restellini, uno dei più grandi ispiratori delle accuse; Parisot, ex presidente degli Archivi legali Modigliani, arrestato nel 2013 con l’accusa di aver falsificato dei disegni di Modì, molto vicino a Chiappini e Guttman.
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