Errore Istat: l?inflazione non è scesa
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fonte:
- Il Mattino
L?inflazione a gennaio è calata al 2,7%? Macché, ci siamo sbagliati, in realtà è ferma al 2,8%. Per la prima volta l?Istat ammette un errore. Con tanto di comunicato ufficiale e scuse agli utenti. Ma la bufera sull?istituto di statistica non si placa. I consumatori chiedono le dimissioni dei vertici dell?Istat. Il leader della Cisl, Savino Pezzotta, sollecita un intervento del governo. I responsabili della Margherita incitano il ministro delle Attività produttive, Antonio Marzano, a fare chiarezza.
Insomma, lo scontro sui prezzi si riaccende. E, ancora una volta, nel mirino delle polemiche, c?è proprio l?Istat. Tutto avviene in tarda mattinata, durante una conferenza stampa convocata dall?Intesa Consumatori. Oggetto, neanche a farlo apposta, la presentazione di un volume dal titolo emblematico. Ovvero: «L?euro, la rapina del secolo». L?incontro con i giornalisti non è ancora terminato quando dall?Istat arriva il comunicato con i dati dell?inflazione di gennaio. Un rapido sguardo alle tabelle dell`istituto, un breve scambio di battute con il presidente dell?Adusbef, Elio Lannutti, e poi Carlo Rienzi, numero uno del Codacons, non si trattiene. «Questa volta i dati sono stati manipolati», sentenzia a denti stretti. Ad attirare l?attenzione dei consumatori è il dato sui medicinali, con un calo «record» del 3,5%. Che cosa è successo di tanto clamoroso, a gennaio, da giustificare questo trend? Rienzi e Lannutti hanno pochi dubbi. Ma, nel telegramma che decidono di inviare all?Istat, usano ancora il condizionale. «Carissimo presidente – si legge testualmente – vorremmo sapere quali sono state le cause del calo dei prezzi dei farmaci. Perché non vorremmo che fosse stata presa in considerazione la riclassificazione dei medicinali prevista dal decreto del governo entrato in vigore il 16 gennaio scorso». Non si tratta di una questione di poco conto. Infatti, le rilevazioni Istat sono effettuate il 15 di ogni mese. E, quindi, il dato del mese scorso non può tenere conto degli effetti del decreto del governo. Rienzi, Lannutti e gli altri due firmatari del telegramma, e cioè Rosario Trefiletti e Carlo Pileri, presidenti rispettivamente della Federconsumatori e dell?Adoc, si augurano che non si sia verificato quello che sospettano. Anche perché, spiegano, «le conseguenze sarebbero assai gravi, e non solo per la credibilità dell?istituto».
I lanci delle agenzie di stampa arrivano prima del telegramma. E, nell?istituto, si scatena una vera e propria tempesta. Con il presidente, Luigi Biggeri, che riunisce i tecnici dell?ufficio prezzi e che decide, poi, di scrivere un comunicato di rettifica per segnalare «un errore nella componente del prezzo dei farmaci». Secondo le regole attualmente utilizzate, infatti, «la modifica del prezzo dei medicinali, entrata in vigore il 16 gennaio, deve essere incorporata nell?indice di febbraio». Così, in tarda serata, l?istituto corregge il dato sull?inflazione, depurato dall?errore. A gennaio i prezzi sono aumentati dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 2,8% se si considera l?indice annuale. In particolare, il capitolo «salute», a livello mensile, non registra più un calo dell?1,3% bensì un aumento dello 0,1%. Se si considera, invece, la variazione annuale, la dimunzione dello 0,3% si trasforma in un incremento dell?1,1%.
Quello dei farmaci, comunque, è da sempre un capitolo particolarmente delicato. Nel comunicato Istat, infatti, c?è un altro paradosso. Il dato «nazionale» delle spese per la salute segna una riduzione dello 0,3%, quello «armonizzato» con le regole europee, invece, indica un aumento del 4,4% su base mensile e, addirittura, del 9,5% su base annuale. Qui, però, la spiegazione è semplice: a livello europeo, infatti, si prende in considerazione il prezzo effettivamente pagato, considerando l?eventuale ticket regionale. A livello italiano, invece, il monitoraggio si ferma a quanto indicato sulla confezione.
E le polemiche sui prezzi non finiscono qui. L?inflazione, infatti, non è stata uguale per tutti negli ultimi anni. Anzi, secondo una ricerca promossa dallo Spi-Cgil e realizzata dal Cer, a pagare di più il carovita sono state proprio le famiglie dei pensionati. Tutto ciò non solo a causa dello scarto fra inflazione «programmata», presa in considerazione per la rivalutazione degli assegni Inps, e quella reale. Ma anche per l?aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, superiore rispetto al resto del paniere e che incide in misura considerevole nel bilancio di questa categoria. Settecentomila famiglie con pensionati hanno dovuto, quindi, fare i conti con un aumento dei prezzi del 4,5% mentre oltre 2 milioni convivono con un?inflazione pari al 3%. Un fenomeno che riguarda soprattutto le famiglie di pensionati residenti nel Sud.
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