ECCO L’ASSURDO: SE BERLUSCONI NON DECIDE I LIBRI DELLA MONDADORI, UN AUTORE MONDADORI DECIDE COSA DEBBA DIRE BERLUSCONI
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- Dagospia
«Il problema non è il tuo romanzo, ma quello che hai scritto su Saviano. Mi interessi molto come scrittore, ma lasciamo passare del tempo, l’editoria ha memoria breve, si dimenticheranno di quello che hai scritto».
Non rivelerò mai neppure sotto tortura chi, all’interno della Mondadori, ai piani alti, mi pose il suddetto argomentato veto dopo avermi accolto con grandi onori. Non lo dirò perché fu molto sincero quando poteva inventarsi qualsiasi scusa e comunque fatto sta che, per tale ragione, non si stipulò nessun contratto tra me la Mondadori e chissenefrega, io continuo a esistere come scrittore nonostante la Mondadori e non penso non ci sia libertà di stampa, né che ci sia solo la Mondadori, come invece credono gli autori di sinistra che pubblicano solo per Mondadori.
Per Concita De Gregorio, direttrice dell’Unità e querelata da Berlusconi, non ci sono mai stati veti, per me, colpevole di scrivere sul Giornale quello che penso, sì, pazienza. D’altra parte ero abituato: alla Bompiani era colpa di quello che avevo scritto di Scurati, alla Feltrinelli sarebbe stato quello che avevo scritto su Baricco, perfino alla minimum fax pretendevano facessi abiura di quanto scritto su alcuni autori minimum fax.
In Italia l’editoria è una Gomorra di autori, conventicole, club, salotti e fatturati, sarà per questo che tempo fa mi ha chiamato la Newton Compton proponendomi un libro sulle caste culturali italiane (un volume non Mondadori che uscirà il 4 maggio), con un invito allettante: «con noi Parente puoi dire quello che ti pare, libertà assoluta» e affare fatto.
Così in questi giorni, dopo il botta e risposta tra lo scrittore martire San Saviano e Marina Berlusconi, mi è chiaro quanto la retorica dell’intoccabilità di Saviano sia arrivata a un paradosso tanto grottesco da essere quasi invisibile a chi non stia attento. Il suo vittimismo sistematico è diventato una cortina fumogena e una griffe che produce mostri.
Saviano non è un uomo, è un marchio, un feticcio, un logo, una fanzine, una maglietta, un sito d’identificazione ("io sono Saviano"), un mammaceccomitocca perenne, e come tale derealizza la realtà, rende la camorra una fiction e la cruda realtà evapora, si derealizza, si annulla, si savianizza.
L’aveva capito Andy Warhol che ripetere per duecento volte su una tela un incidente automobilistico ne cancellava la tragicità, e tra un "Disaster" e una "Campbell’s Soup Can" non c’era più differenza. Questo avrebbe dovuto dire Berlusconi anziché parlare ingenuamente e grossolanamente di "pubblicità negativa" per l’Italia: la camorra non è più la camorra bensì Gomorra, infatti per molti quotidiani sono sostantivi interscambiabili.
La camorra sta diventando un prodotto di Saviano, infatti se tocchi Saviano, se artisticamente il suo libro ti fa cagare come a me per esempio, sei un camorrista. Il suo potere di derealizzazione è tale che a nessuno frega un cazzo di sapere chi è in prima linea, perché insomma ci sarà un magistrato eroe, un quasi Borsellino, un quasi Falcone, un capo della squadra mobile, un cronista, un poliziotto dietro ognuno dei clamorosi arresti di questi mesi e anni o no? No, c’è Saviano, e c’è Gomorra. Si esprime solidarietà verso la griffe e chi s’è visto s’è visto, e si vede solo Saviano.
Saviano sta rendendo la lotta alla mafia una soap opera, è questo che avrebbe dovuto dire Berlusconi, sottolineando, per carità, che lo diceva in quanto Silvio Berlusconi, in quanto persona, come sua personalissima opinione, perché la sua Mondadori avrebbe continuato a pubblicare Saviano e a promuoverlo come il miglior prodotto, che poi è diventato anche un film che non ha vinto l’Oscar, peccato. Berlusconi dovrebbe chiedere scusa? Di cosa? Si scusi piuttosto Saviano di aver teatralizzato appelli per la libertà di stampa in Italia, e non si scusi con me, piuttosto con chi vive in regimi veri, dove la censura esiste davvero e per la libertà di stampa si muore.
La Mondadori, tra l’altro, non è la Silvio Berlusconi editore, infatti è noto quanto la proprietà non entri nelle scelte editoriali della Mondadori, motivo per cui autori antiberlusconiani e schieratissimi come la suddetta Concita o Camilleri o Roberto Saviano o Wu Ming o De Cataldo o la Parrella o Fabio Volo o Fabio Fazio o il grande Antonio Moresco e tantissimi altri pubblicano per Mondadori senza problemi e senza farsene un problema.
Anche la mia amica Barbara Alberti, convinta che Berlusconi sia il fascismo e che si viva in un regime berlusconiano, pubblica per Mondadori e vive con i compensi di Mediaset e la Rai, tra un reality e l’altro, eppure se le chiedi spiegazioni, perché per esempio non se ne va non in un altro paese o se è troppa fatica almeno in un’altra casa editrice, risponde «Che c’entra, la Mondadori paga bene, bisogna vivere», e però il venduto sarei io.
Come quelli a cui l’Occidente fa così schifo e amano i talebani come fossero animaletti esotici o tornano da Bombay rigenerati nello spirito e però non se ne vanno mai a vivere in uno stato islamico o in India e sempre perché «ma che c’entra…».
Tuttavia, ecco l’assurdo così assurdo da non essere più percepibile: se Berlusconi non decide i libri della Mondadori, un autore Mondadori decide cosa debba dire Berlusconi e, pur potendo scrivere e dire quello che vuole, chiede all’editore, all’intera azienda, di schierarsi contro una banale opinione dell’azionista di maggioranza. Non si è mai sentito nella storia dell’editoria, ma tant’è questo regime alla rovescia.
Infatti non si capisce quali chiarimenti vorrebbe Saviano dalla Mondadori, basta leggersi il comico scambio tra l’Intoccabile e Marina Berlusconi per comprendere che la notizia vera è un’altra: poiché non c’è alcun libro censurato, alcun casus belli, Saviano sta cercando il pretesto e il pre-testo per abbandonare la Mondadori e lasciarla da martire. Non sussistendo censura, se ne inventa una lui, al contrario: è Saviano che stabilisce cosa deve pensare Berlusconi e la Mondadori di Berlusconi, e lo fa facendo la vittima, e nessuno lo spernacchia per non passare per camorrista.
E pertanto domenica scorsa la questione grottesca della libertà di parola di Saviano (la sua parola, la libertà di parola, la parola che fa sapere, la parola che dice quello che non può dire, continuamente invocata per assurdo dall’unico autore italiano onnipresente che può dire quello che vuole dove vuole quando vuole e il cui tema principale è tautologicamente, feticisticamente la sua parola sulla sua stessa parola), era anche graficamente visibile, su Repubblica: in alto a destra Marina Berlusconi scriveva a Saviano, subito sotto Saviano rispondeva a Marina Berlusconi perché l’azienda deve prendere posizione e garantirgli libertà eccetera eccetera (ossia la Mondadori deve prendere posizione contro un’opinione personale di Berlusconi) e, ben disposta sotto la risposta di Saviano, sempre in prima pagina, consigli per gli acquisti: la pubblicità di "Gomorra". Pagata, si suppone, dalla Mondadori, e molto pop come un quadro di Warhol: Gomorra’s Soup Can.
Manco a dirlo subito spunta fuori un nuovo appello (ma di cosa? per cosa? qualcuno lo sa?), un altro aspetto fiction dell’effetto Saviano: la retorica della solidarietà. Quando ce ne sarà bisogno davvero avranno finito le scorte di solidarietà, per il momento è subito sera, ed è subito Repubblica che titola «gli scrittori stanno con Saviano» (tra cui molti mondadoriani), come se "gli scrittori", da sempre simbolo della libertà individuale, fossero una cosa sola, un Codacons, un sindacato, una confraternita, un partito, una casta, la massoneria. O forse solo delle ragazze pon-pon, la Federcasalinghe al potere, le Gomorra’s Housewives.
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