30 Aprile 2009

E in Italia cresce l’allarme braciola

Crollo del consumo di carne suina e Zaia scende in capo per difendere gli allevatori E in Italia cresce l’allarme braciola

 «Non esiste l’influenza suina, ma quella messicana», ha ripetuto ieri il ministro per le Politiche agricole Luca Zaia durante una conferenza stampa e ha scandito con forza la necessità di non associare il virus H1N1 che ha avuto origine in Messico con gli animali. Nel quinto giorno dall’annuncio dei primi morti per la "nuova influenza" che arriva dal Paese centro-americano, il ministro arringa i consumatori e gli consiglia di continuare «a consumare la carne di maiale, perchè non comporta alcun problema di sicurezza alimentare» e a evitare una «nuova pandemia mediatica», che rischierebbe di mettere in ginocchio un settore che già da tempo mostra segni di sofferenza. Il comparto suinicolo nel nostro Paese fattura 2.5 miliardi di euro l’anno e dà lavoro a 160 mila persone. I suini allevati annualmente sono 9 milioni. E già oggi – influenza a parte – un chilo di maiale a peso vivo vale circa un euro. Praticamente il prezzo di un caffè. Il che, secondo il ministro, è «scandaloso». Più che un’emergenza alimentare, dunque, in Italia quello che si profila all’orizzonte è una crisi economica del settore dell’allevamento dei suini. Non è un caso che si sia esposta anche la Confederazione italiana degli agricoltori (Cia), che ha chiesto di non parlare di suini e di evitare di «confondere i consumatori». Consumatori che già sono in fibrillazione. Gli acquisti di carne suina sono in netto calo.  Secondo la Codacons, al momento 1 famiglia su 5 non ha intenzione di acquistare carne di maiale nelle prossime settimane, almeno finchè l’allarme non sarà rientrato. E si prospetta lo spettro della speculazione, perchè un calo nei consumi di carne suina potrebbe influire sui prezzi di altre carni, come quella bovina, che potrebbero subire dei pesanti rincari. Ed è favorevole a un cambio di "denominazione" anche il sottosegretario al Welfare, Ferruccio Fazio, che ieri ha sottolineato come in Italia ci siano 20 casi sospetti – a Salerno, in Calabria e a Lodi – e non ci sia alcun caso di malattia confermato. Il sottosegretario ha inoltre precisato che «la situazione è sotto controllo» e che l’eventuale diffusione del virus influenzale nel nostro Paese sarebbe comunque «meno aggressiva» del Paese di origine. Non ci sono vaccini, però, perchè sarà possibile produrli solo una volta che il virus avrà fatto il suo corso e si sarà stabilizzato. Insomma, la prevenzione è impossibile, anche se la virulenza del patogeno al momento «si è dimostrata blanda», ha concluso Ferruccio Fazio. Sarà, intanto però, nonostante le rassicurazioni, in molti non se la sentono di correre il rischio di essere contagiati. Se teniamo presente che nel 2008 circa 230 mila italiani sono volati in Messico e che sono oltre 3 mila gli imprenditori che intrattengono con il Paese messicano rapporti di affari, possiamo comprendere la gravità delle previsioni, sia per il comparto turistico che per quello economico. Secondo una valutazione della Camera di Commercio di Milano, sarebbero a rischio circa 296 milioni di euro in viaggi dall’Italia. I viaggiatori, incluse molte coppie in viaggio di nozze, potrebbero cambiare destinazione e, dal punto di vista imprenditoriale, in ballo ci sono 3.4 miliardi di interscambio tra Messico e Italia. Cifre elevate, che fanno tremare le vene ai polsi non solo dei tour operator. Insomma, da una parte l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), dall’altra il nostro ministero della Salute si sgolano nel diffondere in lungo e in largo messaggi di totale serenità, un balsamo alla psicosi che potrebbe aggredire i cittadini, ma è pur vero che il livello di allerta in Europa è salito a 5 (il massimo è 6) e chi desidera consumare una salsiccia, al momento è portato a pensarci almeno due volte.

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