Due indagati per le protesi al veleno Il giallo dei risarcimenti mai chiesti
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fonte:
- La Stampa
Vendita di prodotti dannosi per la salute: è questo il reato ipotizzato dal pm Raffaele Guariniello, che ha concluso l’ indagine per le protesi dell’ anca che causavano un’ intossicazione da metalli, la «metallosi». Sotto inchiesta sono finiti Giovanni Giorgi e Massimiliano Colella, che si sono succeduti nell’ incarico di amministratore delegato della «DePuy Italia», azienda della divisione «medical» del gruppo «Johnson & Johnson». Sono decine di migliaia le protesi di quel tipo impiantate nel mondo, fino al 2010. In Piemonte, pare siano oltre mille e 200. L’ indagine Il pm Raffaele Guariniello aveva affidato una perizia al professor Paolo Gallinaro (ex direttore della clinica ortopedica del Cto) e a due docenti del Politecnico, i professori Marco Knaflitz e Alberto Audenino. Hanno esaminato protesi all’ anca della «DePuy» arrivate a Torino da tutt’ Italia. Risultato: con l’ utilizzo (soprattutto intenso) rilasciano ioni di cromo, cobalto e nichel nel sangue e nei tessuti. Veleno. In Piemonte, sono state impiantate a malati operati al Cto, oltre che negli ospedali di Alessandria, Asti e Saluzzo. Nessuno ha ancora quantificato gli interventi «di ritorno», per sostituire le protesi dannose. Anche perché la questione è complicata. Quelle protesi sono pericolose, è certo. Ma sono considerate dannose per la salute quando i livelli di metalli rilasciati a causa dello sfregamento superano un «valore soglia». In quel caso, viene attivata la procedura per il reimpianto. Le spese L’ intervento di impianto costa 25-30 mila euro. Il secondo, 35-40 mila. Soldi spesi dalle Asl, con bilanci che ogni anno vengono approvati dalla Regione. «Eventuali rivalse spettano alle aziende sanitarie» spiegano dagli uffici di piazza Castello. Di certo, la «DePuy» sarà chiamata a risarcire quando sarà accertato il nesso causale tra le malattie e le protesi impiantate. Ma la procedura potrebbe essere avviata anche prima, almeno a livello di contrattazione. Anche perché, negli Usa, i risarcimenti sono già avvenuti, dopo l’ apertura di una «class action». Situazione diversa dall’ Italia, dove la procedura non è consentita. E soprattutto, con le spese a carico delle Asl, salvo interventi delle assicurazioni. «Ci siamo offerti alla Regione di chiedere i risarcimenti, anche gratis. Ma non abbiamo ancora ottenuto risposta», dice l’ avvocato Tiziana Sorriento, entrata nella vicenda per rappresentare Codacons e alcune persone operate con le protesi velenose. Comunque, molti non sanno di aver subito l’ impianto di una protesi «DuPuy» e di essere potenziali destinatari di un’ avviso per una nuova operazione. E questa è un’ ulteriore complicazione.
claudio laugeri
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