Consoli, un uomo solo al processo Veneto Banca «Rifarei ciò che ho fatto»
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fonte:
- Il Gazzettino
Chiede lo striscione: “Ma Banca d’Italia dove era?”. La risposta alla domanda dei manifestanti, 30 contati per evitare il rischio di assembramenti, non arriverà dal Tribunale di Treviso. Qui l’unico imputato al processo per l’ingloriosa fine di Veneto Banca è Vincenzo Consoli, che per 17 anni ne fu l’amministratore delegato e il direttore generale, l’impersonificazione della piccola popolare di provincia diventata il dodicesimo gruppo del credito, l’emblema di una grandeur esplosa in crac. Eccolo, è l’uomo in completo grigio, cappotto blu e mascherina nera che viene fatto entrare, su consiglio di carabinieri e polizia, dalla defilata rampa laterale che conduce nel sotterraneo, una simbolica discesa negli inferi della responsabilità da cui l’ex cittadino onorario di Montebelluna conta però di risalire a testa alta: «Sono un uomo fiducioso. Voglio una giustizia giusta, basta, solo questo». così intanto il suo av- Ermenegildo Costabile torna a chiedere di spostare a Trento il procedimento per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto su cui incombe la prescrizione, pronto in ogni caso a schierare 200 testimoni, a fronte dei 30 citati dal procuratore reggente Massimo De Bortoli e dal sostituto Gabriella Cama. IN PRIMA FILA Succede tutto in meno di tre ore, nell’aula affollata da un centinaio di legali, in rappresentanza di un migliaio di ex azionisti e obbligazionisti, che lamentano perdite per oltre 107 milioni. Consoli è seduto in prima fila, di fronte al presidente Umberto Donà, giudici a latere Carlotta Brusegan e Alberto Fraccalvieri. «Non sono mai stato in un Tribunale: ho visto un collegio giudicante attento e sereno, questa è stata la mia impressione stando là davanti», confiderà il 71enne all’uscita visibilmente più rilassato rispetto alla tensione mostrata all’ingresso bottiglietta d’acqua nella mano destra e occhiali da vista in quella sinistra, sullo sfondo dei cartelli “Risparmio rubato”, “Siamo rimasti in mutande”, “Il Veneto resiste”. Una rabbia così silenziosa da permettergli di ignorarla: contestatori? Non li ho neanche visti. Speriamo che capiscano anche loro. Sono abituato a tante cose, ma questa qui è una cosa pesante, l’amarezza è formidabile. Prima o poi parlerò. Però oggi co- oggi, non ha senso: è cominciato un processo, lasciamo che si faccia quello e vediamo come va a finire». LA BATTAGLIA La pubblica accusa e le parti civili si augurano che il giudizio di primo grado si concluda prima di dicembre, quando l’ipotesi di aggiotaggio verrà prescritta. Per questo il giudice Donà annuncia «un’udienza alla settimana da qui all’estate fin da lunedì 19 aprile. Sarà una battaglia e infatti partono i primi colpi. Quello che resta di Veneto Banca propone di estromettere dal processo gli ex soci che hanno sottoscritto l’atto di transazione, ma in compenso viene sollecitata la citazione di Intesa Sanpaolo come responsabile civile. Bankitalia e Consob si oppongono, Consoli ascolta a braccia conserte, l’istanza viene messa a verbale. Chiede il presidente Donà: «Tutte le altre parti civili si associano?». Coro di risposta: «Sììì». Il legale dell’imputato si presenta al microfono: «Avvocato Costabile per Consoli, anche se non c’è dubbio di confonderci con altre difese, ehehe…». La risata rimarca il cuore della tesi: perché soltanto lui a processo? «Noi abbiamo il super Consoli che, per la prima volta in Italia, riesce a fare tutto da solo, partendo dalla filiale in provincia di Barletta e arrivando al software di Bankitalia», ironizza Costabile, ribadendo le questioni già sollevate (e respinte dal gup Gianluigi Zulian) nell’udienza preliminare. Cruciale è la presunta incompetenza funzionale di Treviso per la presenza di due magistrati, che lavorano a Venezia, nell’elenco dei soci di Veneto Banca, il che renderebbe ostile il clima in questo distretto. «L’uomo si distingue dalla bestia perché si dà delle regole da applicare», arringa Costabile, chiedendo la trasmissione degli atti alla Procura di Trento (e assicurando poi che il suo assistito sarà sempre presente in aula: «Qui si sta discutendo della sua vita. La sua vita era la banca. Neanche la famiglia: la banca»). Ma non solo: viene chiesta l’esclusione dalle parti civili di Codacons e Federconsumatori e viene nuovamente eccepita la nullità del decreto che ha disposto il giudizio, sostenendo fra l’altro che sia rimasto indeterminato il capo di imputazione a carico di Consoli. «Quale sarebbe stato il suo profitto? Ha perso la bellezza di 7 milioni di euro nell’acquisto di azioni e obbligazioni», afferma Costabile. PENTIMENTO Ecco, se tornasse indietro, quello sarebbe l’unico ripensamento di Consoli: «Rifarei esattamente quello che ho fatto. Ma non comprerei più i 2 milioni di titoli nel 2014 e nel 2015, quando io non c’ero più. Pentito? Eh sì, perché li ho persi». Gli facciamo però notare che a quel punto lui aveva già guadagnato molto, mentre c’è chi ha perduto tutto il poco che aveva. Silenzio. se ne va, sotto un sole che pare quello dipinto da Francesco Guardi sulla tela appesa nel suo ufficio, ai tempi d’oro di cui fu il re Mida. “Il rio dei mendicanti” si chiamava quel quadro. Angela Pederiva
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