Comprendo la rabbia contro di noi
- fonte:
- Il Biellese
Tre anni fa, all’alba di oggi, 26 ot-tobre, scattava il blitz dei carabinieri che avrebbe portato al sequestro del tempio crematorio cittadino e all’arresto dell’amministratore delegato della società (Socrebi S.r.lr..) che ne aveva la gestione. A finire in carcere, fino alla vigilia di Natale, con una misura di custodia cautelare fu Alessandro Ravetti. Con il fratello Marco, in qualità di amministratori delegati della So.cre.bicre.. – società che fino a quell’ottobre ha gestito la struttura – sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e quattro mesi di reclusione e a 5 anni di reclusione dal Tribunale di Biella.La Procura della Repubblica aveva chiesto 8 anni e 3 mesi per Alessandro Ravetti e 8 anni di reclusione per il fratello Marco. Ai due fratelli sono stati contestati una serie di fatti che hanno colpito ed indignato l’opinione pubblica ed in particolare la scoperta di doppie cremazioni.I casi di doppie cremazioni accertati dalla Procura della Repubblica di Biella nel corso di un mese di indagini sono stati tre. Il dubbio, che però questa fosse una prassi, ancora oggi tormenta tantissime famiglie. Molti figli e figlie, mariti e mogli, padri e madri, si interrogano se le ceneri su cui piangono siano quelle dei propri cari o di uno sconosciuto. In tanti hanno presentato denuncia contro gli ex amministratori di So.cre.bicre..e molti si sono rivolti al Codacons. Per tutti questi casi, la Procura ha chiesto l’archiviazione ed il Tribunale, con ordinanza del 3 maggio 2021, ha definitivamente respinto le opposizioni alla richiesta di archiviazione presentate da oltre 500 persone, in quanto gli elementi probatori acquisiti (e acquisibili) durante le indagini non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio. In particolare, il Gip ha considerato scarsi ed inutili i risultati ottenuti dalle analisi genetiche effettuate dai consulenti tecnici dei querelanti, riconoscendo l’inevitabile contaminazione tra le cremazioni. Per la prima volta, dopo tre anni, la famiglia Ravetti, titolare anche dell’omonima Agenzia di onoranze funebri, che dallo scandalo del tempio crematorio ha subito un colpo durissimo, ha accettato, tramite Marco Ravetti, di parlare a “il Biellese” rispondendo a domande anche scomode e delicate. Dottor Ravetti, lei è stato condannato a cinque anni e suo fratello a cinque anni e 4 mesi. Sono pene severe, lo ha riconosciuto la stessa Procura. Per parte dell’opinione pubblica è troppo poco. Perché, dopo tutto questo tempo, proprio ora, avete deciso di rompere il silenzio? Innanzitutto, ci tengo a ringraziare le tante persone che ci sono state vicine e che, conoscendoci, non hanno creduto a tutto quello che è stato detto. Dopo tre anni abbiamo voglia di raccontare ciò che è accaduto. Parliamo solo ora, non perché non avessimo nulla da dire, ma perché, essendoci prima un’indagine e poi un processo in corso, i nostri legali ci hanno consigliato di non rilasciare dichiarazioni pubbliche.Ma è stato estremamente difficile restare in silenzio e subire quotidiane ingiurie e minacce (anche di morte), oltre a diversi attacchi, giunti da molti fronti. Siamo inoltre molto dispiaciuti che l’opinione pubblica sia stata investita,a più riprese, da racconti non veritieri o comunque travisati. Alcuni reati sono stati contestati anche a suo padre e a sua cognata. Cosa ne pensa? Mi dispiace molto per mio padre, sia a livello umano che professionale, perché sapeva ben poco di quello che succedeva al tempio crematorio, in quanto non vi si recava praticamente mai. Inoltre, colpire lui significa colpire il buon nome dell’impresa funebre. Ovviamente, mi dispiace molto anche per la moglie di mio fratello che, seppur non avesse alcun potere decisionale, è rimasta coinvolta in questa vicenda. Ci sono state delle ammissioni circa il vostro operato: può rilasciare un commento? Mio fratello ed io non siamo dei criminali, ci sono stati degli episodi, che sono ancora al vaglio della magistratura, di cui comunque ci siamo assunti la responsabilità, pagandone le dure conseguenze. I media hanno sempre accostato la storica impresa funebre al crematorio. Perché? Probabilmente perché io sono anche amministratore dell’Agenzia Funebre. Mio papà ed io lavoravamo e lavoriamo nell’impresa funebre di famiglia che, sin dal 1945, ha sempre svolto la propria attività con impegno e professionalità, come riconosciuto da migliaia di famiglie biellesi. Dopo quasi ottant’anni di lavoro improvvisamente siamo diventati dei mostri. Quindi, delle persone che si sono sempre impegnate seriamente nel proprio lavoro, tutto ad un tratto, si sarebbero macchiate di fatti gravi e infanganti. Credo che dietro a questa vicenda ci sia anche molta invidia. Eravamo una piccola impresa che ha voluto fare il salto di qualità, investendo per il territorio e costruendo il forno crematorio per la propria città. Quindi, è possibile che questa nostra “intraprendenza” abbia dato fastidio a qualcuno. Dicono che il movente per il quale si siano generate queste situazioni sia il denaro. Volevate guadagnare di più? No, non avevamo bisogno di “guadagnare di più”. Grazie alla grande dedizione ed all’impegno di tre generazioni, gli affari per l’impresa funebre andavano molto bene e lo stesso era per la società che gestiva il tempio crematorio: lavoravamo molto, dedicando alle nostre attività ogni energia. Cosa vi sentite di dire a chi ha dei dubbi sull’identità delle ceneri dei propri cari ? Vorrei rassicurare i familiari dei defunti cremati, perché all’interno delle urne ci sono le ceneri dei loro cari e sicuramente non c’è sabbia o altro, come inizialmente è stato detto. Questa vicenda ha indignato un’intera comunità. Sentite di dover delle scuse? In qualità di ex amministratore di Socrebi, oltre ad assumermi le mie responsabilità, sono sinceramente dispiaciuto per tutto quello che è successo. Infatti, sono consapevole della sofferenza che possono aver patito i familiari dei defunti cremati e pertanto voglio chiedere scusa a tutti, anche a coloro che non c’entrano nulla, ma che in qualche modo sono stati tirati in mezzo a questa vicenda mal raccontata e strumentalizzata. Cosa pensa quindi di queste famiglie che soffrono? Come ho detto, sono sinceramente dispiaciuto. Però sono anche amareggiato per tutti i dubbi che sono stati loro insinuati. Il caso ha avuto visibilità nazionale. Se ne è occupata anche una trasmissione televisiva come “Le Iene”. Sono stati trasmessi filmati che non possono non turbare lo spettatore e non possono non far montare rabbia. In particolare, in un filmato compare la bara bianca di un bambino sopra un’altra. Viene fatto sottendere che in quel caso poi si fosse proceduto ad un’unica cremazione. È davvero andata così? Ringrazio per la domanda, perché ci tengo davvero molto a chiarire che non è mai stata cremata la bara di un bambino insieme ad un altro feretro. Quell’immagine, che ha destato molto scalpore, è stata strumentalizzata. Infatti, non c’è alcun video (o fotografia) in cui si veda la piccola bara bianca entrare nel forno insieme ad un’altra, perché ciò non è mai avvenuto. Dalle immagini mandate in onda si vede solamente che una piccola bara bianca è adagiata su un altro feretro, sistemato sul carrello posto a lato del forno, nient’altro. Le salme sono poi entrate una per volta nel forno e quindi cremate separatamente. Anche il Gip del Tribunale di Biella ha rilevato che, dalle fotografie prodotte, risulta solo che la piccola bara bianca si trovava nella stanza del forno, ma non all’interno dello stesso. Penso quindi ai genitori di quel bambino a quali è stato raccontato un fatto che non è accaduto. Se la sente di escludere che si siano verificate doppie cremazioni che hanno coinvolto le salme di persone appena defunte? Lo escludo. Inoltre, è tecnicamente impossibile introdurre contemporaneamente due feretri all’interno del forno crematorio. La bocca del forno è alta 90 centimetri, mentre una cassa in legno è alta circa 62 centimetri. Dunque, due bare posizionate una sull’altra non potrebbero entrare in alcun modo. Un argomento che ha suscitato non poche perplessità riguarda la durata delle cremazioni. Sul sito di Socrebi troviamo scritto che il processo di cremazione dura circa 2-3 ore. Cosa può dirci in merito? Le cremazioni non sono tutte uguali: la durata dipende da molti fattori, dei quali i principali sono il peso e lo stato di conservazione della salma, nonché il peso o lo stato di conservazione della cassa. Purtroppo, ancora oggi alcune persone pensano che la durata della cremazione sia di due/tre ore, ma è l’intero processo (cremazione vera e propria, raffreddamento delle ceneri e preparazione dell’apposita urna) ad avere quella durata, così come indicato sul nostro sito. Quindi, posso affermare che le cremazioni effettuate presso il tempio crematorio di Biella hanno avuto una durata corretta e perfettamente in linea con le durate osservate in altri crematori italiani o esteri. Un altro aspetto che ha indignato la comunità è la scoperta di ceneri che sono state smaltite in discarica. Inevitabile che si sia parlato di defunti trattati come spazzatura. Ci può dare una spiegazione? Tutti i forni crematori producono residui. Ogni volta che si provvedeva alla manutenzione ed alla pulizia del forno, raccoglievamo grandi quantità di frammenti ossei e di ceneri residue. Questo si verifica in qualunque impianto, poiché la produzione di ceneri residue e la parziale commistione tra le stesse è fisiologica per un forno crematorio. Ovviamente, questi residui, ormai frammisti, non sono più collocabili nelle rispettive urne, perciò devono essere smaltiti. Bene, ma per queste ceneri residue non esiste una normativa che dica come debbano essere smaltite? Le leggi italiane non affrontano il tema – faccio presente che la cremazione è un argomento molto recente in Italia,a differenza di altri paesi- e nemmeno nel Catalogo Europeo Rifiuti (CER) esiste menzione di ceneri residue. Quindi, non avendo un apposito codice CER, nessuno specifico metodo di smaltimento è previsto. Solamente alcuni comuni in Italia (finalmente) hanno iniziato ad affrontare il problema, riconoscendo l’esistenza di questi residui,e a fornire delle linee guida per il loro smaltimento (Bra, Milano, Aosta ed infine la regione Toscana con l’ARPA). Biella, invece, l’argomento è ancora sconosciuto. Violazione di sepolcro e vilipendio di cadavere. Altre due accuse pesanti che vi sono piovute sul capo. Sulle prime pagine dei giornali si è scritto di casse aperte a colpi d’ascia. Ossa rotte. Non a tutti è capitato di assistere all’estumulazione di un proprio caro, scaduti i tempi di concessione del loculo, ma chi vi ha assistito sa che l’ascia o il falcetto sono gli “strumenti” del mestiere. Quindi cosa c’è di vero dietro a queste accuse ? Innanzitutto, faccio presente che, al tempio crematorio giungevano dei feretri che erano rimasti anche per oltre 30 anni all’interno di loculi in muratura. Spesso queste bare, per via del lungo tempo trascorso in luoghi umidi e del processo di decomposizione del corpo umano, arrivavano in pessime condizioni, perciò diventava difficile, sia trasportarle sia cremarle.A causa di queste condizioni,i feretri faticano ad entrare normalmente nel forno ed il rischio che provochino un inceppamento, impedendo al portello di richiudersi, con conseguente fuoriuscita di fiamme, è molto alto. Quindi, per ragioni di sicurezza, diventava necessario aprire queste bare e trasferire i resti mortali in apposite casse di cellulosa previste dalla legge. Non era certo un’operazione piacevole, ma era più sicuro, sia per gli operatori che per l’intera struttura, procedere con l’apertura della bara. Ci tengo a sottolineare come questa operazione venga normalmente svolta da qualunque operatore cimiteriale o impresario funebre. Io stesso, quale impresario funebre, ho eseguito questa operazione cimiteriale e, comunque, ho assistito più volte all’apertura di feretri estumulati. Le accuse, non è un mistero, sono partite da un vostro ex dipendente. Ma qual era il clima che si respirava in azienda? È stato descritto un ambiente lavorativo pessimo, in cui Alessandro ed io siamo stati dipinti come dei tiranni e degli sfruttatori. Secondo me, non era così. C’era un ottimo rapporto tra tutti noi, si lavorava molto, ma non mancavano i momenti conviviali: si andava spesso a mangiare una pizza insieme oppure a giocare a calcio. Insomma, il clima che si respirava non era così terribile. Solo con un dipendente il rapporto non è mai stato dei migliori. Questa persona era stata ripresa formalmente più di una volta e, poco prima dell’inizio delle indagini, gli avevamo comunicato che non avremmo voluto proseguire il rapporto lavorativo. E così si era messo in malattia.Al momento dell’assunzione non sapevamo che questo dipendente avesse avuto problemi con la giustizia
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