Class action all’ italiana cosa ci aspetta in tribunale
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fonte:
- la Repubblica
DA REPUBBLICA.IT
“Il nostro futuro digitale è nel risultato della class action intentata negli Stati Uniti da autori ed editori contro Google, accusata di violare le leggi sul copyright mettendo in rete i libri stampati e diventando di fatto la più grande libreria del mondo in regime di monopolio”. Le parole sono di Guido Rossi, noto giurista esperto di diritto antitrust e la causa è quella intentata presso la Southern District Court di New York. Ma anche in Italia, da pochi giorni, si è cominciato a parlare di class action in termini concreti, essendo entrata in vigore dal primo gennaio la relativa legge. E in soli quattro giorni si è verificata una partenza sprint per le iniziative in materia, la cui efficacia, però, dovrà essere verificata sul campo. Il Codacons, un’ associazione di consumatori, ha annunciato il varo di tre azioni collettive: una contro le banche, una contro il vaccino antinfluenzale e una riguardante le cartelle pazze. E i verdi ne hanno minacciato una contro i danni provocati dalla tangenziale di Napoli. Ma l’ impressione di molti esperti è che la “montagna abbia partorito il topolino”. Solo due anni fa, ai tempi del governo Prodi, le aziende erano molto preoccupate per la possibile introduzione della class action e sono corse a chiedere pareri giuridici e legali. Oggi sono molto più tranquille. Unicredit e Intesa Sanpaolo aspettano ovviamente di conoscere nei dettagli ciò di cui sono accusate e per ora non replicano all’ annuncio di azioni collettive contro le commissioni applicate ai conti correnti in sostituzione a quella di massimo scoperto e per cui si chiederebbe un risarcimento di 6,25 miliardi di euro. Di certo c’ è che la legge italiana è comunque molto diversa da quella americana, paese dove l’ istituto ha mosso i primi passi negli anni ‘ 60 quando si affermò il concetto di dare accesso alla giustizia anche alle piccole pretese, quelle non convenienti da portare avanti individualmente. “In generale la class action è un istituto di tutela e risarcimento dei privati cittadini più deboli – spiega Guido Rossi – In Usa è stata utilizzata molto anche per i reati di tipo finanziario e in questa chiave rappresenta uno straordinario strumento di deterrenza per le società a non commettere irregolarità”. In pratica, in presenza di una minaccia di cause di risarcimento miliardarie, le imprese ci penseranno tre volte prima di commettere illeciti. È quello che nel diritto anglosassone si chiama “enforcement” e che in Italia è ancora una chimera. Inoltre esistono almeno due elementi chiave che hanno reso molto popolari le class action negli Stati Uniti ma che mancano completamente nell’ ordinamento italiano ed europeo in generale. Il primo è quello che viene denominato “triple damage”, cioè il danno punitivo. La giuria americana può condannare un’ azienda non solo al risarcimento integrale del danno ma anche a somme molto superiori volte a disincentivare in futuro le pratiche scorrette. Sotto la minaccia di risarcimenti senza limiti spesso (il 60-70% dei casi) si arriva a una transazione prima della sentenza di merito. E qui subentra il secondo elemento discriminante: in America le spese legali sono sempre divise tra le parti (ognuno si paga le proprie) e gli avvocati possono farsi retribuire in percentuale solo a risultato ottenuto. Con questo sistema molti studi legali a stelle e strisce si sono arricchiti semplicemente sollecitando cause anche temerarie contro le aziende grazie a un atteggiamento che a volte è apparso quasi ricattatorio. Ma di certo ha funzionato in un’ ottica di deterrenza. “In Italia c’ è un sistema più equilibrato, non esiste il danno punitivo e i danni, sia patrimoniali che non, devono essere provati”, spiega Giulio Ponzanelli, partner dello studio Bonelli, Erede, Pappalardo e professore di diritto privato alla Cattolica di Milano. “La legge italiana sulla class action prevede un primo filtro sull’ ammissibilità, poi parte la causa ordinaria che essendo collettiva implica l’ esame da parte del giudice di una pluralità di richieste, quindi l’ accertamento del danno e infine la sua quantificazione”. Come dire, si sa quando si inizia ma non si sa quando si finisce. Inoltre, c’ è da aggiungere un fatto non secondario. Il governo Berlusconi ha nei mesi scorsi abolito il cosiddetto “patto in quota lite” che aveva introdotto Bersani ai tempi dell’ esecutivo Prodi. In pratica in Italia gli avvocati possono farsi pagare a percentuale, anche elevata (30-40%), solo alla fine della causa e solo nel caso questa vada a buon fine. Una pratica che di certo non stimolerà la ricerca di casi da sottoporre a class action da parte dei professionisti, come si è invece verificato in America. Un esempio può chiarire meglio quanto potente possa essere lo strumento della class action in America. Qualche mese fa le note case d’ asta Sotheby’ s e Christie’ s in violazione delle norme antitrust si erano comunicate reciprocamente quali erano i loro maggiori collezionisti definendo dei prezzi minimi da applicare agli stessi nelle aste. Gli avvocati che hanno promosso la class action hanno notificato anche a un noto finanziere milanese la possibilità di associarsi alla causa, il quale ha ovviamente accettato e proprio in questi giorni ha ricevuto un congruo risarcimento per le opere acquistate a valori troppo elevati. Ma in Italia, anche qualora Unicredit e Intesa Sanpaolo venissero dichiarate colpevoli, sarebbero costrette semplicemente a restituire le somme incassate irregolarmente. “Nel nostro diritto vige il principio della riparazione integrale del danno, ma non di più. Punire è estraneo al nostro diritto civile, è qualcosa che sconfina nel penale” spiega ancora Ponzanelli. Più che altro la legge italiana non chiarisce se l’ istituto della class action possa essere applicato ai reati finanziari. Di certo non a quelli precedenti l’ agosto 2009, un colpo di spugna dell’ attuale governo nei confronti dei crack dei primi anni Duemila, da Parmalat a Cirio fino ai bond argentini. Ma anche per le truffe future i giuristi nutrono numerosi dubbi. “Per il risparmiatore italiano la class action ci sembra un’ arma spuntata – osserva Arturo Albano, rappresentante di Deminor in Italia, società specializzata nella corporate governance – putroppo in Europa si è costretti a promuovere cause di risarcimento collettive, istituto molto più limitato rispetto a una class action”. I clienti Deminor che erano incappati in Parmalat avevano in un primo momento ottenuto un grosso risultato essendo stati riconosciuti obbligazionisti. Ma poi il giudice americano si è dichiarato non competente a decidere per i cittadini non-Usa. E anche per il caso Madoff rischia di essere lo stesso: azioni collettive in Lussemburgo e Olanda ma non una vera e propria class action che consentirebbe ai danneggiati di associarsi anche successivamente al riconoscimento del danno.
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