11 Ottobre 2020

Chiusure domenicali, maxi-richiesta di risarcimento alla Provincia: 4 milioni

trento. La grande distribuzione ha presentato il conto alla giunta provinciale per le domeniche di chiusura. E lo scontrino è pesantissimo: circa 4 milioni di euro di risarcimenti per i mancati incassi, 700 mila dei quali solo come quantificazione dei danni subiti dal gruppo Paterno con Eurobrico e Casatua. Venerdì l’ esecutivo Fugatti ha dovuto dunque approvare una serie di delibere fotocopia con cui si dà mandato all’ ufficio legale della Provincia di resistere ai ricorsi e alle conseguenti richieste di risarcimento. Come era preventivabile la decisione del Tar di Trento di dare ragione alle due aziende commerciali della Valsugana (si erano opposte alla delibera delle chiusure nei giorni festivi) ha scatenato una reazione a catena dai contorni, e dai costi, davvero imprevedibili. Appena mitigata dalla conseguente decisione della giunta di consentire ovunque le aperture una settimana prima, il 4 ottobre (domenica scorsa) anche nelle “zone non turistiche”, visto che con oggi tutti i negozi possono alzare le serrande sino a fine anno. Già presenti nella lista dei ricorsi di venerdì anche Md e persino il Codacons che ha tenuto fede alla minaccia di rivalersi contro la Provincia. Ma non è un segreto che pressoché tutta la grande distribuzione avesse criticato la fretta della giunta nel disciplinare delle chiusure domenicali che vedevano il commercio uscire dalla durissima fase primaverile del Covid. E sul nostro giornale, la settimana scorsa, l’ imprenditore del settore dell’ abbigliamento Mario Ramonda aveva annunciato di voler chiedere a sua volta i danni alla Provincia.Insomma si è rotto un argine che guarda, per quanto concerne la tenuta della norma, alla Corte Costituzionale: se la legge che disciplina il commercio verrà riconosciuta di esclusiva competenza dello Stato (il governo Conte l’ ha impugnata con questa convinzione) si potrebbe dare la stura ad una sfilza infinita di richieste di risarcimento. Come è noto la “ratio” che sta alle spalle della legge era quella di un recupero di un’ idea di festività, non necessariamente religiosa, ma il governatore Fugatti aveva detto di voler provare anche ad allargare i confini dell’ Autonomia, di voler sperimentare insomna delle soluzioni legislative non scontate. Va detto che le due Province, sia Trento che Bolzano, sapevano bene che, andando a legiferare sugli orari dei commerci, si sarebbero spinte su un terreno scivoloso.Il giugno scorso da queste colonne era stato l’ ex governatore Ugo Rossi, nelle sue vesti di membro della Commissione dei 12, a rivelare la presenza di un parere richiesto proprio da Fugatti e dal suo alter ego Arno Kompatscher ai rispettivi uffici legali: “A seguito dell’ entrata in vigore del nuovo Titolo Quinto (…) la giurisprudenza costituzionale, riconducendo la disciplina degli orari e dei giorni di apertura a materia di concorrenza, ha affermato la natura di principio di tale norma e ne ha desunto l’ impossibilità per le Regioni e le Province autonome di derogarvi, regolando autonomamente la materia”. Con questo parere in mano Bolzano decideva di non legiferare e di percorrere con Trento la strada della Norma di attuazione, percorso attualmente in corso. Ma Fugatti sceglieva comunque di andare avanti anche sull’ altro binario parallelo, quello di una legge provinciale sul tema degli orari dei negozi, arrivando in Consiglio a luglio con una procedura d’ urgenza e ottenendo il via libera con 21 sì, tra i quali quello di Filippo Degasperi di Onda Civica. Sei i non partecipanti al voto ovvero Ugo Rossi, Paola Demagri del Patt (Michele Dallapiccola non era in aula), oltre a Paolo Ghezzi di Futura, Giorgio Tonini, Sara Ferrari e Luca Zeni del Pd. E sei astenuti: Lucia Coppola (Futura), Alex Marini (M5s), Alessandro Olivi (Pd), Pietro De Godenz (Upt) e Lorenzo Ossanna (Patt). Nella maggioranza si era astenuto Giorgio Leonardi di Forza Italia. G.T.

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