7 Aprile 2021

Caso diamanti, chiesto il rinvio a giudizio per 105 persone

 

di Andrea Montanari  Si chiude l’inchiesta sulla vendita di diamanti avvenuta attraverso le banche. Ad alcuni anni di distanza dall’apertura dell’indagina, oggi la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per 105 persone e cinque società, di cui quattro istituti di credito, nel procedimento in atto.

Come riferito dalle agenzie Ansa e Reuters, le imputazioni sono, a vario titolo, truffa, autoriciclaggio e corruzione fra privati, per un presunto ingiusto profitto ai danni dei piccoli investitori, che la procura ha quantificato in circa 500 milioni di euro, 314 dei quali per i broker delle pietre preziose.

Gli imputati sono dirigenti, ex dirigenti, funzionari ed ex funzionari delle banche e di due broker di diamanti, International Diamond Business e Diamond Private Investment. Le banche coinvolte sono in particolare Banco Bpm, che insieme a un suo dirigente dovrà anche rispondere di ostacolo all’autorità di vigilanza, la controllata Banca Aletti, UniCredit, Banca Mps e Idb.

Altri due istituti di credito coinvolti, Intesa Sanpaolo e Dpi, hanno invece chiesto il patteggiamento, ottenendo già il parere favorevole della procura: per la banca una pena pecuniaria di 100mila euro e la confisca di 61mila euro come profitto del reato, per il broker una pena pecuniaria di 34mila euro e la confisca di oltre 88 milioni.

Le parti lese, che potranno chiedere di costituirsi parte civile e partecipare così al processo sono 575: tutti clienti delle banche che ritengono di essere stati truffati, oltre all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), a Banca d’Italia, alle due associazioni di consumatori Codacons e Asso-Consum e alla società Camelot Holding.

L’inchiesta, che nel febbraio 2019 aveva portato al sequestro di oltre 700 milioni ai due broker e alle banche, è stata chiusa nell’ottobre 2019. La procura di Milano sostiene che le due società broker abbiano condotto la truffa con la consapevole partecipazione delle banche sino al dicembre 2016. A partire dal 2017, dopo la multa inflitta dall’Antitrust, tutte le banche, a eccezione del Banco Bpm, hanno iniziato a restituire integralmente il denaro ricomprando le pietre al prezzo originario. Lo stesso istituto, guidato dall’ad Giuseppe Castagna, ha riconosciuto la differenza fra il presunto valore effettivo dei diamanti e il prezzo pagato a suo tempo, lasciando le pietre in mano ai clienti.

In base a quanto si legge negli atti dell’accusa, ai clienti veniva proposto l’acquisto di diamanti come bene rifugio a liquidabilità certa, un prodotto finanziario che avrebbe garantito rendimenti fra il 2% e il 5%. Ai clienti inoltre veniva fatto credere che il prezzo pagato fosse il valore effettivo della pietra, mentre in realtà comprendeva il 20% di Iva, le commissioni alle banche, i costi della società venditrice (assicurazione, deposito). Dalle perizie il valore effettivo dei diamanti è risultato essere in realtà fra il 30% e il 50% del prezzo pagato. Per di più il cliente avrebbe potuto chiedere di vendere le sue pietre solo pagando un’ulteriore commissione dal 7 al 16% ai broker, in funzione della durata dell’investimento. (riproduzione riservata)

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