Buoni fruttiferi. I mille rivoli del contenzioso tra Poste e clienti
- fonte:
- Il Sole 24 Ore
La questione dei buoni fruttiferi postali resta nell’occhio del ciclone. Eppure la soluzione ci sarebbe: basterebbe che Poste Italiane si adeguasse alle decisioni dell’Arbitro bancario finanziario (Abf) di Bankitalia, presso il quale si è accumulato un vasto contenzioso (e una serie di orientamenti costanti) sui molti rivoli in cui si articola questa vicenda.E sui più recenti risvolti in Cassazione, Plus24 ha fatto il punto la scorsa settimana. Come si evince dalla tabella riportata a pagina 14, nel primo semestre 2021 si sono avuti circa 1.800 ricorsi all’Arbitro su questo argomento. Alle decisioni sfavorevoli però Poste non si adegua in attesa delle pronunce della giustizia ordinaria. Cosa succede quando ci si rivolge alla giustizia ordinaria? La relazione per il 2020 l’Abf ha fatto il punto anche su questo aspetto. Delle decisioni dell’Arbitro meno dell’1% finisce davanti al giudice ordinario,di questa cifra già ridotta l’11 per cento riguarda i buoni fruttiferi postali. Man mano riducendosi i numeri solo il 10% dei casi finiti al giudice ordinario è stato già deciso. In più di sei casi su dieci i giudici hanno confermato le decisioni Abf. La relazione però precisa che spesso ciò non deriva da un diverso orientamento sul piano dei principi giuridici applicabili, ma da altri elementi relativi alle valutazioni sui fatti. Per esempio sul caso segnalato da Plus24 della scorsa settimana, sulla clausola di pari facoltà di rimborso, l’Abf già si era espresso a favore della rimborsabilità a favore del portatore del titolo. Successivamente la Corte d’appello di Milano si è pronunciata confermando l’orientamento dell’Abf e ora anche la Cassazione l’ha fatto. Divisi i giudici invece per quanto riguarda la serie Q/P, in questo caso la maggior parte del contenzioso riguarda i buoni della serie Q emessi usando i moduli della precedente serie P (c.d. buoni Q/P), su cui venivano posti: un timbro sulla parte anteriore con l’indicazione della nuova serie; un timbro sulla parte posteriore, con l’indicazione dei tassi di interesse della serie Q per i primi vent’anni. Per il periodo dal ventunesimo al trentesimo anno, il timbro modificativo non variava i rendimenti della serie P originaria, più elevati di quelli della serie Q. In questo caso l’Abf ritiene che il cliente ha diritto ai rendimenti originari del buono per gli ultimi 10 anni. Su questo punto la relazione dell’Abf ricorda che la Corte d’Appello di Torino (sentenza del 15 febbraio 2021, n. 183) si è espressa in accordo con l’orientamento dell’Abf.A questo proposito, secondo la Corte occorre seguire le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 15 giugno 2007, n. 13979), secondo la quale il sottoscrittore deve poter fare affidamento sui rendimenti risultanti dal testo del buono, anche se difformi rispetto a quelli previsti dalla norma in vigore al momento della sottoscrizione. Invece la Corte d’Appello di Milano (sentenza del 6 agosto 2020, n. 2060) ha ritenuto che le Sezioni Unite si riferissero a una fattispecie diversa e si è espressa in senso opposto, ovvero che l’omessa modifica degli interessi relativi all’ultimo decennio, sul retro del buono, non è idonea a generare un legittimo affidamento nel sottoscrittore. Nei giorni scorsi però il Codacons ha segnalato una decisione del tribunale di Milano favorevole alla maturazione di interessi secondo le indicazioni riportate dal titolo, se collocato successivamente al Dm modificativo degli interessi.
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