5 Marzo 2003

BASILICHE GRIFFATE

BASILICHE GRIFFATE

La sola pubblicità sostenibile è quella che porta restauri




Basiliche “griffate“: il logo della discordia. Neppure i templi dello spirito, secondo il Codacons, avrebbero resistito al richiamo della sirena-pubblicità. Il “casus belli“, nella denuncia dell´associazione di difesa dei consumatori, è la chiesa di San Giacomo sul Lungotevere della Farnesina «da mesi coperta, oltreché da un ponteggio, da un cartellone pubblicitario». A gettare acqua sulle polemiche è il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede Sergio ed ex segretario generale del comitato centrale del Giubileo 2000. «I cartelloni pubblicitari posti “pro tempore“ sulle impalcature delle chiese – precisa a Vivereroma il porporato – vanno bene, purché le immagini e i messaggi non siano irriguardosi o inadeguati ad un luogo di preghiera». Nessuno “scandalo réclame“, dunque, per il ministro vaticano dell´economia: «In fondo anche la facciata della basilica di San Pietro è potuta tornare all´antico splendore grazie all´insegna dell´ente-mecenate che ne ha finanziato il complesso restauro».
Cardinale Sebastiani, il Codacons grida al «quasi sacrilegio» per i cartelloni installati sulle chiese di Roma, quello di San Giacomo è un “precedente pericoloso“?


«Ma non è una novità. Nel quinquennio di preparazione dell´Anno Santo, attraverso i marchi degli sponsor, sono stati completati i lavori in numerosi edifici sacri che non beneficiavano dei fondi della legge varata “ad hoc“. Mettere su un ponteggio la réclame provvisoria (a patto che non offenda nessuno, non strida con il contesto artistico né infici la sacralità del luogo) è cosa ben diversa dal malcostume di affiggere cartelloni pubblicitari su palazzi e monumenti approfittando di impalcature per lavori che in realtà non vengono effettuati».

C´è cartellone e cartellone, dunque?


«Sì, ci sono casi (oggettivamente deprecabili e che nulla hanno a che fare con le chiese) in cui le insegne promozionali vengono cambiate periodicamente, mentre il restauro non inizia neppure o va a rilento. Così si sottrae alla vista di cittadini e turisti un bene culturale e si danneggia a lungo l´immagine della città».
E qual è, a suo parere, il modo corretto di coinvolgere i finanziatori privati?


«L´esempio da seguire è il maxi-piano di pulitura e conservazione della facciata della Basilica Vaticana, portato a termine nel `99 dall´Eni e dalla Fabbrica di San Pietro nei tempi previsti: due anni e sei mesi di lavoro congiunto di 150 scienziati, tecnici e restauratori. In quel caso tutto è filato liscio perché la definizione dei ruoli è stata netta. Lo sponsor ha fornito il supporto economico scientifico e organizzativo. L´ente vaticano, invece, ha messo a disposizione la conoscenza storico-architettonica e la perizia professionale dei “sanpietrini“, come da secoli sono chiamati gli operai della Fabbrica.
Nessun cedimento, quindi, alla «logica mercantilistica»…


«No di certo. Occorre piuttosto una sana dose di pragmatismo se l´obiettivo è salvare e tramandare autentici capolavori di fede e cultura come le chiese romane. Per la basilica di San Pietro, poi, il risultato è sotto gli occhi di tutti, oggi la facciata è il monumento più studiato e conosciuto al mondo: sette mila metri quadrati di sviluppo analizzati e recuperati millimetro per millimetro con le tecniche di indagine più sofisticate. Il restauro del secolo è stato definito. Benedetto in mondovisione da Giovanni Paolo II. E tutto questo per il nome del mecenate impresso sul ponteggio».

Quella della griffe diventerà una presenza abituale?


«Se ad essere sponsorizzate sono le impalcature che, per un periodo limitato di tempo, consentono di effettuare i lavori di restauro, non c´è nulla di male. Purché, ovviamente, ad essere veicolato sia un messaggio decente, che non ferisca la sensibilità dei fedeli, che sia rispettoso della natura del luogo in cui viene inserito. In manifestazioni e concerti ospitati all´Aula Paolo VI i loghi promozionali e la pubblicità istituzionale di compagnie telefoniche hanno contribuito concretamente al progetto giubilare “50 chiese per Roma“. In questo modo sono stati raccolti fondi destinati alla costruzione di centri parrocchiali nella periferia più disagiata di Roma».

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