Associazioni dei consumatori, le mani della politica e dei sindacati
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fonte:
- Panorama
Le chiamano “L’altro sindacato”, il braccio armato dei consumatori. Più forti dei sindacati, di fatto rami che fanno riferimento a organizzazioni di categoria, a dirigenti di partito, in altri casi addirittura ricevono aiuti dalla case farmaceutiche oltre a quelli di Stato sotto forma di progetti.
Adesso, però, anche le associazioni dei consumatori rischiano di perdere quei finanziamenti che ne hanno permesso la crescita e in qualche caso la proliferazione. 18 in Italia, tutte accreditate al Cncu, il Consiglio nazionale dei consumatori che fa capo al ministero dello Sviluppo Economico, ma quante saranno alla fine le vere, quelle che davvero hanno più di trentamila iscritti certificati, ovvero la soglia imposta per legge?
L’idea che circola nei corridoi del ministero porterebbe a una drastica riduzione oltre a favorire le più consistenti in termini di tesserati. Una polemica, quella tra associazioni, che da sempre le ha coinvolte e viste configgere. Insomma, le associazioni difendono i consumatori e se sì, a che prezzo?
All’inizio fu Unione nazionale dei consumatori, la più antica tra le associazione nata nel 1950, ma il vero anno che sancisce l’importanza di queste lobby a difesa del cittadino è il 1998 quando con la legge n°281 vengono annoverate come associazioni da parte del ministero dello Sviluppo Economico.
Dai rincari delle compagnie assicurative, ai monopoli telefonici, lotte che le associazioni hanno ingaggiato e che hanno portato ad una sentenza storica, quella del 2003, quando il Codacons riuscì a far pagare alle compagnie assicurative una multa che ha fatto scuola. Ed è proprio il 2003 che ne cambia l’aspetto e l’approviggionamento di risorse. Un fiume di denaro, ottenuto dalle multe, che l’Antitrust decide di girare e destinare alle iniziative volte a informare il consumatore, un sistema che è stato copiato perfino nei paesi europei.
Così dalle iniziali 10 associazioni del 1993 si sale a 15 fino ad arrivare a 18 attuali: Acu, Adiconsum,Adoc, Adusbef, Altroconsumo, Assoconsum, Assoutenti, Ctcu, Cittadinanza attiva,Codacons, Codici, Confconsumatori, Federconsumatori, La casa del consumatore, Lega consumatori, Movimento Consumatori, Movimento difesa del cittadino, Unione nazionale del consumatore, ultima la Confconsumatori.
Che c’entrano dunque i sindacati come Cgil, Cisl e Uil e i partiti? In realtà sono proprio le sigle confederali e i politici a stare dietro le più considerevoli associazioni dei consumatori, comeAdiconsum (Cisl), Adoc (Uil), Federconsumatori (Cgil), che possono ottenere il 5 per mille facilmente grazie alla presenza dei Caf di zona e foraggiarsi.
Questo solo per citare le associazioni vicine ai sindacati, ma altre sono vicine anche a case farmaceutiche come Cittadinanza Attiva o ai partiti, qualche esempio: AssoConsum è gestita da ex dirigenti di Forza Italia mentre il Movimento Consumatori da uomini di sinistra.
E’ tra queste che si ritagliano uno spazio Altroconsumo (più di trecentomila iscritti) e la Codaconsuna delle più agguerrite tra le associazioni e sono proprio queste’ultime, infine, quelle che si danno battaglia a colpi di iscritti.
Perché? Subito spiegato. Per ottenere i finanziamenti a pesare sono loro, i tesserati, e la soglia viene quasi tutta superata per un soffio fatta eccezione per Centro Tutela Consumatori Utenti, un’associazione che dispone di una deroga in quanto presente in Trentino Alto Adige, regione a statuto speciale. Pochi anni fa si sono dati battaglia perfino di fronte ai giudici, il Codacons che accusava Altroconsumo di non avere iscritti, ma solo abbonati alla propria rivista, e viceversa. La fetta da spartire, dopo la scelta dell’Antitrust, infatti cresce, fa gola a tutti, e comincia ad affiancarsi all’iniziale sostentamento delle associazioni, niente più che semplici aggregazioni finanziate con una quota annuale.
Dal 2003 al 2007 le 18 associazioni si dividono una quota consistente di denaro: 47,7 milioni e 38 milioni nel 2010. Parte direttamente dallo Stato, parte invece attraverso le Regioni. Tanto basta per farne nascere altre come la Assoconsum, Casa del Consumatore e la Confconsumatori, solo le ultime.
E chi controlla se gli iscritti siano veri o no? In pratica dovrebbe essere il ministero, peccato che non sempre lo faccia, o almeno lo faccia in pochi casi dice il leader di AltroConsumo, Paolo Martinello, che un’ispezione l’ha ricevuta pochi anni fa. “Il ministero finora ha controllato poco – dice Martinello –ben vengano quindi regole più selettive. In molti casi sono autodichiarazioni. Bisognerebbe chiedere gli elenchi”.
Una forza quella di Altroconsumo che deriva anche dalla rivista che edita e dai servizi che offre. “Non ci finanziamo solo con i progetti, offriamo servizi”, risponde ancora il segretario. Già perché in realtà dopo il 2010 l’Antitrust non ha girato più risorse, dopo che Giulio Tremonti ha deciso di stornare i fondi e destinarli alle emergenze. Tanto che il Codacons per sopperire ai mancati proventi ha dovuto inventarsi un telefono a pagamento. Ciò non toglie che le associazioni accreditate abbiano potuto usufruire dei finanziamenti delle regioni e dalla Ue.
Oggi, l’idea di ridurne il numero, anticipata dal Corriere e che fa infuriare Carlo Rienzi del Codacons: “Questa è una manovra politica, vogliono uccidere le associazioni come quelle nostre, quelle presenti sul territorio. Il Corriere ha iniziato una campagna per distruggerci. Tutto a favore delle associazioni legate ai sindacati e alle riviste. Cercano di spostare tutto sugli iscritti, ma a contare dovrebbe essere l’attività svolta”.
Una manovra per accontentare i sindacati paventa Rienzi e che rischierebbe di veder scomparire le più piccole, ma non per questo meno rilevanti. In realtà una controversia dunque tra ministro e associazioni, multe e denaro, consumatori e consumati, dove di mezzo ci sta la politica arbitro sceso con una squadra. E i consumatori spettatori sugli spalti.
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