3 Gennaio 2010

Arriva la class action ma dimenticate i film

Molto strombazzata dai media fa il suo ingresso nella legislazione italiana la class action, l’ azione collettiva che richiama immediatamente all’ immaginario collettivo film come Erin Brockovich o Class Action , appunto. Ma il nuovo articolo 140-bis del codice del consumo difficilmente diventerà uno strumento per la difesa di diritti collettivi o ancora di più di beni comuni danneggiati da pratiche piratesche delle aziende: innanzitutto le cause potranno essere discusse in diciotto tribunali, uno per capoluogo di regione, ma sulle già disastrate sedi di Roma e Napoli graveranno le domande proposte rispettivamente da cittadini di Umbria, Marche, Abruzzo, Molise e Calabria, Basilicata. I ricorsi legali daranno diritto solo al risarcimento diretto della lesione del diritto subito, potranno essere presentati solo da singoli rappresentanti o dando mandato ad un’ associazione di consumatori ma si trasformeranno in un vero e proprio processo solo dopo il giudizio d’ ammissibilità. Sarà il giudice a decretare se il ricorso è fondato e può avere inizio un processo: contro la decisione del tribunale sarà possibile presentare un ricorso entro 30 giorni alla corte d’ appello che avrà 40 giorni per pronunciarsi. Nel caso che venga giudicata inammissibile la class action, il tribunale dispone un risarcimento per le parti chiamate in causa: indubbiamente un altro freno nei confronti di cittadini che volessero tentare la via giudiziaria per reclamare diritti violati e che rischiano di vedersi condannati a rimborsare le imprese chiamate in giudizio. Intanto dormono sonni tranquilli i protagonisti principali degli scandali Cirio e Parmalat perché la maggioranza di centro-destra ha fatto di tutto per escludere la class action su illeciti accaduti prima del 16 agosto 2009. Un colpo di spugna su eventuali cause collettive nei confronti di banche, istituzioni finanziarie ma anche degli organismi di controllo che non hanno fermato in tempo gli autori delle truffe. Peraltro le cause collettive nei confronti della Pubblica Amministrazione, e quindi anche contro Consob, Isvap, Banca d’ Italia o Ministeri del Tesoro, rischiano di essere impossibile dato che è previsto solo il ripristino del servizio e non il risarcimento del danno. Ad un organismo di controllo sulla Borsa che non ha commissariato una società quotata come Parmalat, permettendole di falsificare i bilanci e di creare un crack da oltre dieci miliardi di euro, quale “ripristino del servizio” può essere richiesto? Ovviamente le organizzazioni dei consumatori alla ricerca di un’ immediata visibilità sono già scese in campo: il Codacons ha annunciato un’ azione collettiva contro Unicredit e Intesa Sanpaolo per le commissioni di 250 euro sui conti correnti in rosso. Una pratica già contestata dall’ Antitrust che potrebbe costare agli istituti di credito oltre 6 miliardi di euro. Il perimetro della class action italiana sembra tutto riconducibile, come si legge nel nuovo articolo 140-bis, a «diritti contrattuali», «un determinato prodotto» o «pratiche commerciali scorrette o anticoncorrenziali». E se volessimo promuovere una causa collettiva nei confronti di un’ azienda che è responsabile di una grave lesione all’ ambiente? Oppure nei confronti di chi si è reso responsabile di una truffa nei confronti della Pubblica Amministrazione, per esempio nel campo della sanità pubblica? Difficile, per ora, dare una risposta favorevole perché la visione del provvedimento sembra essere quella fortemente contrattualistica e in questo senso bisogna interpretare anche la scelta di non riconoscere il diritto al risarcimento del danno prodotto. Nelle grandi class action americane la chiave di volta è stato il riconoscimento degli effetti dannosi prodotti sulla collettività che hanno portato i tribunali ad imporre multe milionarie nei confronti delle imprese portate alla sbarra. Nonostante i clamorosi limiti del provvedimento sarà comunque interessante capire come verrà applicato dai tribunali il punto c del secondo comma dell’ articolo 140-bis laddove la legge stabilisce che l’ azione tutela «i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette»: chi eroga una prestazione sanitaria in regime di convenzione e truffa l’ Amministrazione pubblica sta creando un grave danno al consumatore-utente e quindi potrebbe essere legittimamente chiamato ad un risarcimento. *direttore della rivista “Valori”

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