“Andrea viveva per le moto Nessuno poteva fermarlo”
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fonte:
- La Stampa
Arnaldo Antonelli è tornato a Macchie di Castiglione del Lago ieri mattina. Lo aspettavano la moglie Rossella, il figlio minore Luca, i parenti. Domenica il dolore era corso veloce sulle parole di una telefonata drammatica da Mosca: Andrea, 25 anni, non ce l’ aveva fatta. Erano passati minuti lunghissimi dopo l’ incidente: la speranza prima, poi la dolorosa rassegnazione al fatto che il giovane pilota, colpito alla testa dalla moto di Lorenzo Zanetti a 250 km all’ ora dopo una caduta, «è morto facendo quello che amava, almeno questo», sospira lo zio Paolo Burini. Mentre il Codacons annuncia un esposto alla Procura di Roma per accertare eventuali responsabilità degli organizzatori, il rientro della salma è atteso per stasera o al massimo domani.Il padre seguiva sempre Andrea nella categoria Supersport, era al paddock durante la gara. Arnaldo Antonelli ricorda così quegli attimi terribili: «Dopo l’ incidente, sotto il diluvio, mi sono precipitato alla clinica, ho visto che lo portavano via con la barella, è stato interminabile. Continuavano ad accendere e spegnere l’ elicottero, non capivo che cosa fosse meglio, che cosa significasse. C’ era chi mi diceva che era in coma, poi che era sedato, che erano intervenuti per cercare di rianimarlo. Prendevano tempo, ma soltanto perché c’ ero lì io, ho capito che mi stavano nascondendo qualcosa. Per me era già morto dopo la botta, ma continuavo a sperare. Poi ho visto il giornalista di Mediaset andarsene in lacrime dalla clinica e ho capito che non c’ era più niente da fare. Una dottoressa me l’ ha detto: non ce l’ ha fatta».Proprio papà Arnaldo, ex calciatore, insegnante e preparatore tecnico per la Figc, quando Andrea aveva poco più di dieci anni, aveva preso contatti con il Moto club del Trasimeno, per capire come avrebbe potuto soddisfare la passione irrefrenabile del figlio. Dalle minimoto alle 125 e l’ ascesa fino al trampolino per il grande salto nel circuito maggiore delle Superbike. E poi quella gara a Mosca, sotto la pioggia, dove aveva ottenuto il miglior piazzamento nelle qualifiche, il quarto posto. Poche ore prima di scendere in pista per la corsa, l’ ultima telefonata alla mamma Rossella: «Oggi piove, vedrai, farò una grande gara». «Che devo dire? – continua il papà -. Che aspettava la pioggia, che la cercava perché così poteva giocarsela con i più forti. No, quelle non erano condizioni particolarmente critiche. Quando siamo entrati in griglia, piovigginava appena. Poi, sì, forse dopo il primo giro la situazione è peggiorata. È stata una fatalità».Andrea e il team domenica erano particolarmente soddisfatti per il risultato, sicuri delle possibilità. «Ultimamente la sua convinzione, la sicurezza nei suoi mezzi era cresciuta. Aveva superato delle difficoltà personali, si era lasciato con la fidanzata, e aveva ritrovato serenità. La moto era il suo mondo, veniva al primo posto. Domenica credo di aver avuto un presentimento – ricorda Arnaldo -. Stavamo mangiando e improvvisamente sono scoppiato a piangere. Non lo so, forse perché mi sono sentito solo, senza Rossella. Sentivo quell’ entusiasmo e ho sperato che tutto andasse per il meglio». «Non potevi dirgli di non fare quello che faceva, eravamo tutti consapevoli dei rischi – spiega ancora -. Era così preso, così convinto di arrivare in Superbike. Il mio rammarico è che non ce l’ ho potuto portare, in un mondo che è fatto di soldi. Lui lo sapeva e per questo lottava, dava il massimo. Ci arriveremo – gli ripetevo – se qualche team ti prende perché te lo meriti».
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