Arsenico nell’acqua, nessun risarcimento
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fonte:
- Il Messaggero
I cittadini della provincia di Latina non avranno risarcimenti dallo Stato per l’arsenico presente nell’acqua destinata al consumo umano fino a qualche anno fa. Il tribunale amministrativo del Lazio ha bocciato il ricorso del Codacons, l’associazione che tutela i diritti dei consumatori, che chiedeva 500 euro di rimborso per ciascuna utenza interessata. La storia parte da lontano. Nel 2012 terminò la deroga concessa dalla Commissione europea per rientrare nei limiti di legge pari a 10 microgrammi per litro l’arsenico nell’acqua erogata alle famiglie. L’arsenico è un metallo pesante pericoloso per la salute umana nel caso di assunzione per lunghi periodo di tempo. Fino a quel momento, il limite era di 50 microgrammi per litro.I vari gestori del servizio idrico in tutto il Lazio, compresa Acqualatina, fecero importanti investimenti, con l’aiuto pubblico, per permettere di rientrare nei parametri di legge dell’arsenico, tra cui nuove condotte e dearsenizzatori. Non in tutti i Comuni si è riusciti a mettersi in regola dal 1 gennaio 2013, così nel 2014 Codacons insieme a decine di singoli cittadini fece causa al ministero e alla Regione. In provincia di Latina i Comuni coinvolti erano in primis Aprilia e Latina, ma anche Cori, Sezze, Cisterna, Sermoneta; in provincia di Roma Albano, Ardea, Velletri e Ariccia, più otto città del Viterbese. LA RICHIESTA L’associazione di consumatori chiedeva anche la rideterminazione delle tariffe applicate tra il 2002 e il 2012 con uno sconto per l’acqua contaminata dall’arsenico ma pagata come “buona” nelle bollette. Il tribunale è stato categorico. Oltre all’impossibilità di “monetizzare” la potabilità dell’acqua, il giudice fa anche notare che «la non conformità delle acque destinate al consumo umano è risultata non da un deterioramento della qualità dell’acqua, ma dall’evoluzione della normativa, che ha progressivamente ridotto i valori parametrici al fine di incrementare il livello di protezione dei consumatori». Non solo: la normativa comunitaria «ha assunto la missione di migliorare la qualità delle acque,a favore delle popolazioni che, in assenza della normativa di protezione, avrebbero continuato a a utilizzare e ad assumere, presumibilmente come le precedenti generazioni, acque potenzialmente lesive per la salute. Su tali basi, il miglioramento delle acque e della relativa erogazione non poteva qualificarsi come oggetto di una obbligazione di immediata ed automatica esecuzione». Di fatto, secondo il giudice, c’è voluto del tempo per far scendere i valori dell’arsenico. Infine, oltre al fatto che ogni caso è a sé e non si può chiedere un rimborso forfettario, Codacons non avrebbe neanche spiegato quale sarebbe dovuta essere la tariffa idrica giusta da applicare. Risultato: ricorso respinto e associazione dei consumatori condannata a pagare 4mila euro di spese di giudizio.
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